MURLOCULTURA n. 5/2011

Carrellata sui mestieri in mutazione

Il MURATORE

di Luciano Scali

venticinquesima puntata


Associazione Culturale di Murlo
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Una regola non scritta ma universalmente accettata per la sua ovvia validità, consisteva nel disporre le travi occorrenti a sostenere l’orditura del solaio secondo il lato minore della superficie da coprire, in modo da risultare sottoposte a sollecitazioni inferiori di quelle delle travi in opera secondo il lato maggiore (fig. 1).

Fig. 1     Disposizione delle travi nell’orditura del solaio.

 

Il muratore accorto si assicurava che le estremità delle travi poggiassero sopra una superficie piana e stabile predisponendo una o più file di mattoni per raggiungere lo scopo oppure una pietra perfettamente in piano. La trave veniva posta in opera su tale appoggio secondo un criterio suggerito dall’esperienza e convalidato poi dalle leggi della statica, vale a dire con il lato più corto della sua sezione come base e quello più lungo come altezza (fig. 2).

Fig. 2     L’appoggio delle travi sulla muratura.

 

L’altra regola pratica suggeriva di far poggiare la trave sul muro per un tratto di almeno una volta e mezzo la sua altezza. Si trattava di una precauzione consolidatasi nel tempo ed applicata a solai destinati a civile abitazione, non soggetti a sovraccarichi eccessivi, con l’intento di ripartire equamente il carico sull’appoggio compatibilmente alla sua stessa natura. Nell’osservare vecchie costruzioni, non è raro rilevare sotto l’appoggio delle travi, la formazione di mensole rudimentali ma non per questo meno efficaci, costituite dal progressivo aggettare di file sovrapposte di mattoni (fig. 3).

Fig. 3     Trave su mensola in mattoni.

 

Tale espediente consentiva di ridurre la luce di influenza della trave e di aumentarne la superficie di appoggio col vantaggio di ripartire sopra un’area più ampia il carico della trave stessa. Il ricorso alla “tecnica delle mensole” presentava il vantaggio d’impiegare travi con sezioni sottodimensionate rispetto alle luci da coprire, riducendone praticamente la portata.
Se l’ambiente sottostante il solaio veniva usato come cantina o stalla dove l’estetica non aveva un peso rilevante, veniva fatto ricorso ai cosiddetti “saettoni” in legno che in pratica esplicavano buona parte delle funzioni della mensola descritta risultando più economici ed anche di pronto effetto in caso di emergenze allorché la trave dava cenni di cedimento per sovraccarico o per vetustà (fig. 4).

Fig. 4     Appoggio della trave su “saettone”.

 

L’orditura del solaio “a correnti”, una volta posizionata la trave, si otteneva ponendo in opera i travicelli adattandoli in modo da costituire un piano sul quale posare le “mezzane”. Era chiamato così quel mattone dallo spessore ridotto, centimetri tre circa, esattamente la metà di quello di un mattone terzino del quale manteneva inalterate le altre misure. I correnti, o travicelli preposti a coprire gli spazi esistenti tra un trave e il successivo,(abitualmente 170 centimetri) erano posti tra loro alla distanza per poter supportare uno strato di mezzane accostate. Di solito i correnti squadrati avevano una sezione di sette centimetri per sette, che poteva variare a seconda del materiale disponibile, ma la loro mutua funzione non cambiava, perchè predisposta, appunto, per accogliere lo strato di mezzane. Per riuscire nel fissaggio dei correnti il muratore s’improvvisava carpentiere intervenendo sulla sezione degli stessi ed anche sulla trave, conciandoli per giungere allo scopo (fig. 5).

Fig. 5     L’adattamento del trave con ascia.

 

Dopo avere steso un filo tra le travi estreme aggiungendo opportuni spessori per simulare quello superiore del travicello, cominciava a porre in opera quest’ultimi traguardandoli con i fili di riferimento (fig. 6).

Fig. 6     La posa in opera dei travicelli.

 

A stesura completata e dopo inchiodati i travicelli alla trave, si veniva a creare un piano ideale sul quale andare a posare lo strato di mezzane, accostandole tra loro dopo avervi interposto un sottile strato di malta grassa. Al di sopra di tale strato ne veniva steso uno di “caldana” formato da materiale coibente leggero costituito di “calcinaccio colato”, oppure da cenere e residui di carbonella provenienti dal camino o dai focolari e, in alcuni casi, specie nei poderi, anche con aggiunta di paglia e “lolla”. Tale strato attutiva i rumori e le vibrazioni ripartendo equamente i carichi e apprestandosi, nel contempo, ad accogliere il pavimento costituito di solito da mezzane o mattoni sottili posti per piano (fig. 7).

Fig. 7     Disposizione del pavimento sopra uno strato coibente o “caldana”.

 

Il pavimento in cotto del quale è tornata di recente la moda, non differiva da quello usato nella costruzione anche perché in alcuni casi serviva per stendervi le patate o le olive, oppure a stagionare le castagne. Nei vani opportunamente rinforzati da adibirsi a granaio, il frumento e i legumi vi venivano di solito ammucchiati prima di essere insaccati ed avviati ai mercati o al mulino. I pavimenti dei vani adibiti ad altro uso come ad esempio le camere o i corridoi, potevano presentare disposizioni diverse dei mattoni che li costituivano, in modo da formare disegni geometrici di gradevole aspetto che in alcuni casi venivano addirittura impermeabilizzati con vernici che ne facilitavano la pulizia o ravvivati con terre rosse di solito provenienti da cave di cinabro e successivamente fissate con cera.

(continua)




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