MurloCultura 2013 - Nr. 4

Il tappeto della Cattedrale di Siena

di Federica Fiscaletti

Vi starete chiedendo dove sia questo tappeto nella Cattedrale di Siena… beh, i 2500 mq di pavimento rivestiti in marmo, con 56 riquadri e oltre 60 tipi di cornici diverse, non sono forse come un gigantesco tappeto? Una realizzazione unica, sulla quale hanno lavorato per secoli mani sapienti e operose, che hanno prima disegnato e poi graffiato, riempito, ritagliato e assemblato marmi policromi con risultati di altissimo livello.

In vista della prossima visita organizzata dall’Associazione Culturale di Murlo ai soffitti della Cattedrale di Siena, vi presento in questo articolo le bellissime decorazioni che in parte vedrete dall’alto, sfilando attraverso angusti passaggi e ripide scale e affacciandovi per godere di bellissimi panorami, dentro e fuori la Cattedrale. Le tecniche utilizzate per queste decorazioni sono quelle del graffito e dell’intarsio marmoreo. Inizialmente si usava graffiare la superficie del marmo, facendo piccoli fori poi riempiti di stucco nero, creando in questo modo i contorni delle figure e aggiungendo dettagli quali pieghe dei vestiti, lineamenti dei volti, capigliature eccetera. Successivamente la tecnica si è evoluta in tarsia, ovvero dopo aver preparato un disegno si tagliavano i pezzi di marmo previsti per dare forma a figure, oggetti, paesaggi, e questi venivano sistemati in specifici alloggiamenti creati seguendo il disegno di base.  I primi documenti che testimoniano pagamenti per questo pavimento riportano le date 1372-1373, anni in cui sarebbe stata realizzata la decorazione della Lupa senese contornata da tondi con i simboli delle città alleate. Si tratta del secondo riquadro della navata centrale, l’unico eseguito con la tecnica del mosaico. E’ evidentemente un importante simbolo di tipo non religioso, che mirava a sottolineare anche all’interno della cattedrale (ricordiamo le innumerevoli statue piccole e grandi raffiguranti la lupa che allatta i gemelli già all’epoca esistenti in città) la grandezza della Repubblica Senese e l’orgoglio per le leggendarie origini romane.

Molti i nomi degli artisti che dal XIV al XIX secolo hanno lavorato a queste decorazioni, da Antonio Federighi, Matteo di Giovanni, Benvenuto di Giovanni, Giovanni di Stefano, all’umbro Bernardino di Betto detto Pintoricchio, a Domenico Beccafumi nella prima metà del ‘500, fino alle ultime realizzazioni di fine ottocento da parte di Alessandro Franchi. E molti di più i nomi dei tanti artigiani, spesso scarsamente noti, che seguendo i disegni dei maestri intagliavano e applicavano le tarsie sotto il loro sguardo attento. Il tema iconografico è legato all’anticipazione della venuta del Cristo, dal mondo antico dell’età classica dove le Sibille venivano interrogate e scrivevano le loro profezie, ai Profeti della Bibbia, toccati già dalla rivelazione divina e forti dell’aiuto di Dio nel divulgare il messaggio della sua venuta, attraverso allegorie e simboli che rimandano continuamente al sapere antico, all’importanza della spiritualità dell’uomo che deve interrogarsi sul suo futuro per avvicinarsi a Dio.

Nelle due navate laterali ci accolgono proprio le Sibille: la Delfica, l’Eritrea, la Cumana, l’Ellespontica e via dicendo. Bianche figure che si stagliano su fondo nero e presentano libri aperti e tavolette con iscrizioni in latino che spiegano le loro profezie. Un susseguirsi di parole a volte misteriose che alludono alla nascita del Messia, in Betlemme, da una vergine Ebrea… di colui che verrà umiliato, morirà e resusciterà dopo tre giorni, e che tornerà per giudicare. Realizzate negli anni 1482-1483 rispecchiano molto la cultura umanistica del tempo; la fonte per le tante citazioni è lo storico romano Lactantius, e non manca anche un riferimento a Virgilio che nell’Eneide racconta della Sibilla Cumana che offrì i libri con le sue profezie a Tarquinio il Superbo, re di Roma. Donne dunque, rappresentate in maniere diverse, tutte in piedi, a volte anziane, più spesso giovani e belle; inquiete, alcune decisamente raffinate ed eleganti, sfilano portando avanti quelle profezie che già “circolavano” sulla facciata, dove le statue di Giovanni Pisano sono impegnate in un intenso dialogo, scambio, bisbiglio, l’annuncio del nuovo messaggio divino.

Nella navata centrale, di fronte all’entrata principale della Cattedrale, un riquadro con più figure: è l’inizio di un “complicarsi” della tipologia delle rappresentazioni, con personaggi che si moltiplicano, simboli e allegorie che ci accompagnano fino all’incontro con il transetto. Ermete Trismegisto, questo il nome del signore vestito con abiti e copricapo di stile orientale, saggio Egiziano contemporaneo di Mosè, è raffigurato mentre compie il gesto di consegnare dei volumi a due personaggi che lo guardano come in contemplazione. Qui si raffigura il punto di partenza necessario per il percorso dell’uomo verso Dio, l’antica sapienza (le dottrine di Ermete venivano studiate molto in ambiente umanistico) donata alle genti d’Oriente e d’Occidente, simbolieggiate dai due individui. E’ con questo desiderio di indagare, partendo dalla Creazione, che l’uomo inizia il suo cammino verso la rivelazione. Seguono il già citato mosaico e un riquadro decorativo raffigurante un rosone, elemento architettonico molto usato per la facciata delle chiese, al centro del quale campeggia un’aquila imperiale. Ancora un modo per affermare la supremazia di Siena? Sicuramente, ma anche l’animale simbolo di uno dei quattro Evangelisti, Giovanni, il cui Vangelo ha una visione maggiormente teologica, che vede oltre… come l’aquila, che può volare più in alto, guardare il sole, puntare dritta al cielo, avvicinarsi a Dio.

All’inizio del 1500 viene commissionato il successivo riquadro, l’allegoria del Colle della sapienza. Pinturicchio, l’artista perugino, lavora nello stesso periodo alle pitture della Libreria Piccolomini, e disegna per il pavimento un gran numero di figure che si muovono in un contesto paesaggistico ben delineato. Una figura femminile, con un piede su una barca e l’altro su una sfera, ha appena accompagnato un gruppo di uomini approdati su un’isola. Il mare in tempesta tutto intorno, è reso con un bellissimo marmo grigio. Questa signora non è altro che la Fortuna, instabile e mutevole, grazie alla quale questi savi, hanno la possibilità di intraprendere il cammino per raggiungere la cima del colle. Alcuni di loro sono titubanti ma altri si avviano e con bastoni camminando faticosamente in salita, fra sassi, strane piante e piccoli rettili, devono raggiungere la sommità per poter cogliere la palma offerta dalla Saggezza (la quiete), rappresentata da una figura in trono. Questa allegoria fa riferimento all’arduo percorso dell’uomo che deve affrontare difficoltà e superarle per ottenere la serenità. Si tratta di una conquista dell’animo, dello spirito, per il quale a nulla servono i tanti oggetti preziosi, simbolo delle vane ricchezze materiali, che il filosofo Socrate rovescia impietosamente in mare.

Dopo l’ultimo riquadro della navata centrale, nel quale campeggia una grande Ruota della Fortuna, simbolo già dal Medioevo del volere supremo, della volontà di Dio, e quindi spesso introdotta anche come elemento decorativo negli edifici religiosi, ci si trova sotto il duomo e davanti a noi è stato “spianato” (questo il termine tecnico per tali lavori in marmo) l’esagono centrale, nel punto di intersezione con il transetto. In sette riquadri a loro volta di forma esagonale, sono rappresentati episodi della vita di Elia, il grande profeta della Bibbia, colui dalla cui stirpe discenderà Giuseppe, padre putativo di Gesù. Vissuto ai tempi del re Acab, contro di lui si batte per convincere i suoi ministri a non adorare più il Dio Baal. Elia stringe un patto con il re (esagono centrale): ci saranno due sacrifici per vedere chi ha ragione, quale è il vero Dio. I sacerdoti di Acab provano ad accendere il fuoco sull’altare ma senza successo e tentano di impedire ad Elia di accendere il proprio gettando sulla pira dell’acqua. Ma ecco l’intervento divino, dall’alto arriva la lingua di fuoco del Signore. Tutti sono sconvolti da questo incredibile segno. Fin qui il Beccafumi nel XVI secolo, ma nei restanti tre esagoni osserviamo un’opera di fine ottocento nella quale Alessandro Franchi raffigura Elia che annuncia al re la profezia della sua stessa morte, alla quale notizia Acab si prostra a terra disperato. Come un guerriero sul suo carro di guerra vediamo poi la conclusione della storia, con Elia morente in primo piano, come un soldato davanti al campo di battaglia e lo stesso profeta portato in cielo su un mitico carro di fuoco, trainato da spettacolari cavalli accompagnati da angeli.

Il transetto presenta riquadri ancora più grandi, densi di figure, uomini, animali, armi, architetture e sfondi naturalistici, che “narrano” episodi della Bibbia: sono storie di eroi ed eroine che in nome della rivelazione di Dio combattono contro i nemici pagani. Scene spettacolari, nella realizzazione delle quali i vari artisti (perlopiù nella seconda metà del ‘400) hanno utilizzato tante tipologie di marmi, intagliando dettagli per definire moltissimi oggetti quali corone, tende, armature, capitelli, fregi, e anche delle splendide cornici nell’ideazione delle quali la loro fantasia ha trovato libero sfogo. Palmette, conchiglie, leoni, delfini, putti, animali fantastici, grottesche, tanti diversi motivi rilegano queste scene con estrema eleganza, in forme per lo più di lunghi rettangoli ma anche a volte di tondi (è il caso delle Virtù rappresentate intorno all’altare e decorati con motivi ad archetti trilobati). Subito dopo la Cappella del Voto si trova la Battaglia di Iefte, condottiero che nella speranza di riuscire a sconfiggere gli Ammoniti, chiede l’aiuto di Dio offrendo in cambio la vita della propria figlia. Una scena di battaglia, con cavalli, soldati, armi, un guerriero moro in primo piano, su uno sfondo fatto di montagne, rese con il delizioso marmo giallo detto broccatello. Vinta la battaglia, Iefte incontra la figlia, raffigurata in secondo piano rispetto alla scena principale, e all’interno di un tempio, in una città le cui architetture sono definite nettamente con torri, merli, mura, si consuma l’estremo, terribile sacrificio.

Segue il riquadro di Assalonne, figlio di Re David, che si è ribellato al padre il quale lo fa inseguire dai suoi soldati. Il giovane, armato di tutto punto, andava spavaldo con il suo cavallo quando all’improvviso rimase incastrato, impigliato al ramo di un albero a causa della sua lunga chioma, divenendo a quel punto facile bersaglio dei soldati che lo infilzano con le loro lunghe lance. Questo episodio è reso con uno stile veramente unico, estremamente semplificato nel tratteggiare dettagli come le foglie sugli alberi, fa pensare ad una illustrazione per bambini, quasi a un fumetto… ogni volta che lo vedo trovo sia veramente “moderno”. Il tema dei capelli torna immediatamente dopo perché nella zona del presbiterio è rappresentato Sansone, il grande uomo che da Dio aveva poteri speciali e sembrava invincibile. I Filistei cercavano di catturarlo da tempo quando la giovane Dalila riesce a sedurlo e dopo vari tentativi ottiene di conoscere il segreto della sua forza: i capelli. Tagliati i capelli Sansone viene consegnato inerme ai Filistei i quali lo imprigionano e lo rendono cieco. Trascorre del tempo e viene organizzata una grande riunione per mostrare il nemico sconfitto: intervengono in molti e il tempio è gremito quando Sansone chiede di potersi appoggiare ad una colonna… i suoi capelli sono nel frattempo cresciuti nuovamente e al grido di “Muoia Sansone e tutti i Filistei” fa crollare l’edificio seminando morte.

Dal lato opposto del transetto, davanti alla Cappella dedicata a san Giovanni Battista, ci sono altre scene molto affollate. Una rappresenta la storia di Giuditta che riesce a salvare la sua città, Bethulia, dai soldati del cattivo Oloferne. Palazzi e torri sono in primo piano su un lato della raffigurazione ad indentificare una città rinascimentale, con pareti decorate con fregi e busti di imperatori, in marmo bianco. Nella parte centrale di nuovo soldati armati, cavalli, spade e scudi, mentre sulla destra risalta una tenda rossa (è il marmo di Gerfalco, detto ammonitico) all’interno della quale si consuma l’avvenimento fulcro della storia. Giuditta si reca nell’accampamento nemico e riesce a ottenere le attenzioni del capo dei soldati: nottetempo, durante il sonno, Oloferne viene decapitato e la sua testa portata su un vassoio dentro le mura della città. I suoi soldati improvvisamente senza la loro guida si disperdono e vengono cacciati. Giuditta è la nuova eroina di Bethulia.

La seconda scena è l’unica che fa riferimento ad un episodio non biblico: è la Strage degli Innocenti descritta nel Nuovo Testamento e qui ambientata in uno splendido ampio loggiato rinascimentale. Il soggetto è cruento, Erode ordina ai suoi soldati di uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni nell’inutile tentativo di colpire il nuovo Re di cui gli hanno raccontato i magi. Tanti piccoli corpi, uomini che strappano bambini dalle braccia delle loro madri e li trafiggono, donne disperate, volti straziati. L’autore dei disegni di questo episodio, Matteo di Giovanni, nel giro di alcuni anni riproduce lo stesso soggetto ben tre volte su tela: due di questi dipinti si trovano a Siena, uno a Napoli.

E per concludere, il capolavoro dei capolavori, il punto più alto della tecnica della decorazione in marmo, con i singoli pezzi intagliati e accostati uno all’altro direttamente sul disegno di base, che restituiscono un incredibile effetto finale molto simile a quello pittorico. Domenico Beccafumi realizza con questa tecnica e l’uso di solo due colori di marmo, il bianco e il verde (con le loro varianti di gradazione) il riquadro davanti all’altare maggiore con il Sacrificio di Isacco e, a seguire, prima dell’esagono centrale, Storie di Mosè. Basta osservare queste realizzazioni per coglierne immediatamente il grande valore: Beccafumi ottiene il chiaroscuro dal marmo, realizza figure intensamente plastiche, le muove, le posiziona nella spazio, realizzando anche sfondi atmosferici, con nuvole, foglie e alberi che si perdono nella penombra dietro ai personaggi. Negli episodi dedicati a Mosè mostra una grande capacità compositiva e narrativa: il legislatore ha guidato il suo popolo attraverso il mar Rosso ed è arrivato al monte Sinai, ma mentre lui non c’è alcune persone, sconfortate, titubanti sull’esito del viaggio, si chiedono se abbiano fatto bene o meno ad affidarsi a quest’uomo. Nell’attesa, e nel dubbio, scelgono di preparare un sacrificio alle loro divinità. Si vedono uomini che gettano sul fuoco oro e oggetti preziosi per ottenere materiale per il vitello d’oro da sacrificare. Quando però Mosè scende con le tavole della legge la sua ira è furente e attraverso di lui il Dio condanna a morte coloro che non sono stati saldi nella fede. In alto, a destra, sono rappresentati uomini e donne disperati, morenti, straziati dalle pene.

Al di sotto di questa grande scena ancora Mosè, in cammino con il popolo ebraico, che ad un certo punto gli chiede aiuto perché sono in viaggio da tempo e non hanno neanche da bere. Mosè si rivolge al suo Dio il quale gli ordina di allontanare tutti e puntare il suo bastone nella roccia: da qui il miracolo, l’acqua sgorga copiosa. Uomini, donne, bambini, anziani, il popolo ebraico ma anche l’umanità intera, possono dissetarsi, purificarsi, e tutti questi personaggi attingono con brocche, coppe, anfore mentre ruotano, si voltano, mostrando i loro corpi, seminudi e sinuosi, muscolosi come quelli del grande Michelangelo i cui lavori Beccafumi aveva ben potuto vedere nel suo viaggio a Roma.

Una sola ultima considerazione: è vero che durante i periodi in cui il pavimento della Cattedrale viene scoperto è possibile vederlo nella sua interezza ma è un dato di fatto che quando ci si trova sul posto, a causa dell’estensione delle superfici decorate, dei riflessi di luce su di esse e della necessità di non permettere ai visitatori di calpestarle, molte delle scene più ampie e belle sono necessariamente le meno ben visibili. Consiglio vivamente di guardare queste realizzazioni su libri o internet dove non manca materiale fotografico eccezionale. In questo modo si apprezzano veramente le composizioni, si distinguono tanti dettagli ed è possibile seguire il regolare dispiegarsi delle scene, cogliendo al meglio il significato degli episodi. E buona visita a tutti!

Il Colle della Sapienza.

Il Colle della Sapienza di Pinturicchio.

 

Link utili

http://it.wikipedia.org/wiki/Pavimento_del_Duomo_di_Siena

 

 

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