MurloCultura 2014 - Nr. 4

Quel ponte di Peratti

di Luciano Scali

SEGNI DELL'UOMO - quarta puntata

 

Di ponti di Peratti ce ne sono due, quello che c'è ma non si vede e quello che non c'era più ma che oggi si può vedere anche se rappresenta un autentico rompicapo.
Non è bello parlare per enigmi ma il ricorrervi serve a stimolare la curiosità e spesso a riannodare le fila del tempo. Se poi uno è curioso per natura e nell'assecondare tale inclinazione inciampa in qualcosa d'inedito e interessante, il gioco è fatto!
Ma cosa significa Peratti? Non lo so davvero ma invece so che serve a indicare un fosso che dalla pendice di levante del poggio Serpentaio va a alimentare il Crevole al limite dei diaspri della cosiddetta "spiaggia di Murlo". C'è invece qualche eccentrico che preferisce indicarla con un più raffinato "Murlo's beach", ma lasciamo perdere queste ricercatezze snob culturali per arrivare al concreto della vicenda. La via che da Murlo conduceva a Resi ancor prima della nascita del villaggio minerario, si snodava sul lato sinistro del torrente Crevole andando a sboccare nel cosiddetto piano "dello Scanno". Dopo averlo tagliato obliquamente, attraversava il Crevole e il fosso di Peratti quindi, arrampicandosi sul poggio Boschetto, raggiungeva la via di cresta che dal valico del Rospatoio conduce a Resi e oltre ancora. Come ogni luogo del nostro comune, anche il ponte rammentato prima ha una storia che ricorderemo più tardi. Questo ponte nacque con il tracciato della ferrovia per superare il fosso. Aveva una luce di sei metri, ossia quattro volte circa di quella del tombino attuale e due spallette in muratura che supportavano travi e saettoni sui quali poggiavano le traversine e i binari. Oggi il livello stradale è molto più alto del primitivo ponte ed anche di quelli successivi visto che tutti dovevano mantenere quello della strada ferrata, la cui pendenza si aggirava in quel tratto a circa il ventidue per mille. Lo stato attuale (fig. 1) deve risalire alle opere eseguite al termine dell'attività mineraria per favorire il raccordo con la strada in salita per Resi. Dal sopralluogo effettuato nell'alveo del fosso, reso quasi impercorribile dalla macchia e dai rifiuti d'ogni genere gettativi in gran copia, si evince con chiarezza che le antiche strutture, seppure in precaria stabilità a causa delle erosioni in atto, stanno oggi supportando quelle più recenti e meriterebbero un attento monitoraggio per stabilirne la tenuta.

Fig. 1. La volta del tombino sul fosso di Peratti come appare oggi (a sinistra) e una ipotetica ricostruzione del ponte (a destra) realizzato per permettere il passaggio della strada ferrata.

 

L'osservazione attenta del supporto assai degradato, fornisce ancora utili informazioni anche se potrebbe dare adito a supposizioni fuorvianti capaci di condurre a errate conclusioni. Di contro l'apparente anomalia rilevata dà invece il corretto orientamento della spalletta nord del ponte originale, mentre i resti dell'altra andrebbero ricercati nel terrapieno all'inizio del sentiero didattico. Questa osservazione permette d'immaginare l'esatto andamento della sede ferroviaria che, al di fuori di quella stradale odierna, andava a imboccare il ponte di Peratti disposto in asse con la prosecuzione della strada ferrata. Dal lato opposto ogni accesso al tombino resta precluso. Le ramaglie derivate dal taglio del bosco e lasciate sul posto, si sono accumulate contro il manufatto a causa delle ricorrenti piogge impedendone la vista e quindi la valutazione del suo stato, oltre a formare una barriera destinata ad aumentare di volume. Tale risultato rende palesemente discutibile la politica che impone di lasciare sul posto i residui del taglio del bosco nella convinzione che il loro dissolversi vada ad arricchirlo. Purtroppo la realtà dispone diversamente: le abbondanti piogge trascinano verso valle le ramaglie accumulandole contro le opere stradali e nei punti ove i percorsi si restringono. Sul suolo resta ben poco mentre aumentano i rischi di straripamenti e d'incendio...
Ma tutto questo esula dal nostro intento originale cosicché andiamo un po' più in giù a dare un'occhiata agli altri "segni dell'uomo" che la piena dell'ottobre di un anno fa ha riportato alla luce dopo essere rimasti per tanto tempo sotto cumuli di sabbia, ghiaia e detriti (fig. 2).

 

Il ponte di Peratti sul Crevole

Fig. 2. I due pilastri del ponte di Peratti sul torrente Crevole, portati alla luce dalle piene di ottobre 2013.

 

Il torrente Crevole in quella data, dopo aver provocato gravi danni al Villaggio della Miniera, è sfociato nel piano diminuendo di velocità e depositando gran parte delle cose trasportate per riprendere subito il suo corso veloce appena il piano finisce, proprio nei pressi dove il vecchio ponte lo attraversava. Gli scogli di diaspro, disposti in quel punto sui due lati, convogliano le acque in una specie d'imbuto stretto e tortuoso prima di giungere al Ponte Nero. I resti delle strutture di un ponte che forse qualche anziano ricorderà, sono tornati alla luce iniziando così a fornire utili informazioni. Oltre a quelle inerenti al ponte, l'allineamento dei resti dà una spiegazione logica all'intervento dell'uomo per modificare la formazione di diaspro rosso, il cui andamento troppo regolare la faceva apparire innaturale e inspiegabile fino ad oggi. Osservando bene si vede come la parete di roccia assecondi lo snodarsi della strada che riprende a salire per dirigersi all'incrocio con l'ex strada ferrata e proseguire poi sulla costa di Poggio Boschetto per l'Olivello e Resi. Nel ritornare indietro, si nota l'aprirsi della strada anche sulla destra, verso il guado da cui accedere alla spiaggetta usata durante l'estate da chi, non potendo permettersi il lusso di andare ad abbronzarsi al mare, si accontenta di questo surrogato per ottenere un risultato quasi uguale. Per chi non lo sapesse, da questo punto ha inizio anche il breve sentiero che conduce ad una vecchia cava di manganese che Bartolomeo Verdicchio mi fece conoscere un decennio fa. Da quanto è possibile osservare, mettendosi con le spalle rivolte alla spiaggia, si rilevano due tipi di muratura che a suo tempo costituivano il ponte scomparso. La larghezza del torrente appare divisa in due parti di cui quella di destra suddivisa a sua volta in cinque luci per la presenza di due pilastri allungati centrali e di altri due appena riconoscibili, e quella di sinistra invece costituita da una soletta compatta attraversata da più tubi di cui tre parzialmente visibili. In mancanza di foto o disegni dell'epoca, non è dato di capire quanti siano i tubi che attraversano la soletta, per averne la certezza bisognerebbe ricorrere ad un impensabile sondaggio conoscitivo. Ad ogni buon conto tale dubbio non influisce su quello che doveva essere l'aspetto originale del manufatto, ma di contro offre alcune certezze e suggerisce utili considerazioni sui criteri tenuti da chi ebbe l'incarico di realizzarlo. L'aver suddivisa la larghezza del torrente in due parti dove quella di destra risulta predisposta a smaltire la maggior parte delle acque, sta a indicare un'approfondita conoscenza del loro percorso, influenzato, in quel punto, dall'ansa che il torrente compie fra i diaspri alla foce del fosso di Peratti. In simile situazione ambientale e in accordo con le leggi dell'idraulica, la parte esterna del flusso è indotta a effettuare il percorso con maggiore velocità di quella interna, rallentata dall'ansa che il torrente compie in quel punto. Per fronteggiare questa esigenza e facilitare il flusso dell'acqua, la parte di destra del ponte fu realizzata con una sezione più ampia di quella di sinistra verso la quale si dirigevano le acque più lente. Tutto questo discorso è riferito ai periodi di più alta piovosità poiché per quelli normali i tubi della soletta non entravano nemmeno in funzione. I resti affiorati a seguito della piena d'ottobre 2013, e dei quali è stata rilevata la posizione e le dimensioni, indicano che la larghezza del ponte misurava oltre tre metri, i pilastri a sostegno tre metri di lunghezza per uno di larghezza e distavano tra loro in misura diversa. Purtroppo non è dato di conoscere la luce tra il pilastro e la spalletta scomparsa dal lato dello Scanno che potrebbe essere stimata sui due metri circa, mentre sarà mia cura attivarmi per conoscere quella giusta non appena le condizioni del torrente lo renderanno possibile. Comunque si può affermare con buona approssimazione che la lunghezza del lato destro del manufatto si aggirasse sui quattordici metri. L'intero manufatto, soletta compresa, doveva invece raggiungere i ventidue metri e cinquanta circa. Un altro dato da non sottostimare, ma difficile da rilevarsi, riguarda il fondo del torrente, per cui non può stabilirsi l'altezza originaria dei pilastri. La ricostruzione grafica ipotizzata (fig. 3), per dare un'idea di come dovesse apparire il ponte, non dovrebbe distaccarsi molto dal reale e se in seguito qualcuno scoprisse tra le foto di famiglia che in una di queste appare il ponte di cui si parla, gli sarei grato se me la mostrasse, pronto a festeggiare l'evento con una bevuta e ben lieto di fare le mie scuse se mi fossi sbagliato.

 

Ricostruzione del ponte di Peratti sul Crevole

Fig. 3. Ricostruzione del ponte di Peratti sul Crevole (a cura di Luciano Scali).


Un altro segno dell'uomo è rappresentato dalla salita detta della "Costaccia", ricostruita in buona parte quando fu creato il terrapieno per farvi poggiare la strada ferrata. Dalla consultazione del Catasto Leopoldino si ricava che la via da Murlo per Resi, attraversava a guado il Crevole a metà circa del piano dello Scanno per iniziare a salire sulle propaggini del poggio Serpentaio, superare sempre a guado il fosso di Peratti e proseguire poi fino alla cima di Poggio Boschetto. Ritrovare la traccia che indichi il punto in cui la strada originale superava il Crevole è impresa ardua a causa del terrapieno della ferrovia che l'ha coperta e delle mutazioni avvenute lungo i corsi d'acqua in quasi due secoli dai rilevamenti effettuati dai tecnici granducali. La situazione attuale dovette prendere forma con la realizzazione della strada ferrata, quando si preferì la creazione di un passaggio "a livello" più a valle e una nuova porzione di strada, anziché costruire un tombino di limitate dimensioni sul rilevato ferroviario che scavalcasse il tracciato viario esistente. La storia riferita al ponte di Peratti, alla quale facevo accenno all'inizio, mi fu raccontata anni fa al tempo in cui mi trasferii a Murlo. Riguarda un incidente dove furono coinvolti due amici i quali transitando una sera da quel posto a bordo di una moto con "sidecar", finirono dentro al fosso. Uno dei due ci perse la vita e l'altro, ferito, venne soccorso da alcuni passanti attratti dalle sue grida d'aiuto. Mentre lo stavano tirando fuori, senza essersi avveduti del morto, questi continuava a urlare disperato strappandosi i capelli: "Ho perso Cento Lire! Cercate Cento Lire!" I soccorritori, credendolo in preda allo choc per l'accaduto, tentarono invano di consolarlo dicendogli che in fin dei conti essersi salvata la vita valeva molto di più della perdita di quella cifra. La realtà però era un'altra poiché Cento Lire era il soprannome dell'amico che stava sulla moto assieme a lui e che purtroppo non aveva avuta la sua stessa fortuna. Quando l'equivoco venne chiarito i soccorritori si attivarono per recuperare anche lo sventurato compagno, ma ormai l'evento aveva segnato quel luogo che viene spesso ricordato, non come il ponte di Peratti ma con quello più pittoresco di Cento Lire!

La morte di Cento Lire - disegno di Luciano Scali

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