MURLOCULTURA n. 1/2006
Alla scoperta delle origini di una strada

La Via di Siena
Ovvero la voglia dei percorrerla almeno una volta ad occhi aperti

di Luciano Scali
3a puntata
Associazione Culturale di Murlo
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Madonna di Campriano

O
ltrepassato il ponte sul torrente Stile, la via di Siena entra nella comunità di Monteroni con un tratto pianeggiante del suo percorso ed offre al viaggiatore la vista del castello di Campriano. La posizione, il luogo e lo stato di conservazione dell’intero complesso invogliano alla curiosità di conoscere qualche notizia che lo riguardi più da vicino sì da spingere per soddisfarla ad affrontare il breve tratto in salita per arrivarci. Il castello è oggi abitato stabilmente oltre che dal proprietario, anche da un’efficiente gruppo di collaboratori impegnato nella conduzione dell’annessa azienda agricola e di un apprezzato ristorante.
Le notizie di Campriano risalgono all’anno 943 con la conferma del suo possesso a Bernardo II dei Conti di Siena da parte di Ugo di Provenza re d’Italia, confermato da Enrico IV re di Germania e d’Italia nell’anno 1081 all’abate di S. Eugenio presso Siena, e ripetuto ancora dall’Imperatore Federigo I nell'anno 1185. Il conte Ugolino degli Ardengheschi quando concesse nel 1151 al vescovo Ranieri di Siena, le sue terre, con castelli e villaggi, tra il fiume Ombrone e Montegrossi nel Chianti e tra il Merse e l'Elsa, ne escluse il possesso di Campriano forse per eleggervi la sua residenza nella convinzione che potesse rappresentare un luogo da viverci in relativa sicurezza dati i tempi che correvano. La chiesa dedicata a S. Giovanni Battista e compresa nel perimetro del Castello doveva essere presente fin dagli insediamenti più antichi anche se la data della sua edificazione non potrà mai conoscersi con esattezza a causa della distruzione dell’archivio di Crevole compiuta dai fuorusciti ghibellini nel 1380, ove erano conservati i documenti del territorio del Vescovado e delle chiese comprese nella Diocesi di Siena.
In data imprecisata la chiesa ed il castello passarono in signoria alla famiglia senese dei Piccolomini e successivamente ai Tolomei che nel 1251 ne comperarono una parte restaurandone poi le mura divenute pericolanti e insicure. Nel 1336 Nicola del fu Stricca Tolomei vendette allo Spedale alcuni beni in Campriano venendo contestato dai figli di suo fratello Mino con i quali poi si accordò in favore dello Spedale stesso. Dopo la cacciata dei nobili dal governo della repubblica di Siena, molti gentiluomini senesi fuorusciti, si rifugiarono nel castello di Campriano disturbando con azioni di guerriglia chiunque recasse vettovaglie alla città di Siena. Per questa ragione il popolo senese decise di porre fine a tali scorribande e dopo aver distrutto il castello di Foiano nel giugno del 1369 si portò a Campriano con un esercito di circa duemila persone  conquistandolo rapidamente. La rocca ed il Castello furono abbattuti nella quasi loro totalità con grande “carneficina nel combattere tra i soldati senesi e gli aderenti dei Tolomei, ma segnatamente vi morirono molti di quei Signori che vi si erano rifugiati anche dalle altre Castella. Vi morirono tré dei Tolomei, tré dei Piccolomini, due degli Scotti, ed uno dei Marescotti oltre molti altri che furono condotti nelle pubbliche carceri di Siena: saccheggiata e malmenata la fortezza fu data in preda alle fiamme.” Lo Spedale, in seguito, dovette averlo stabilmente in proprietà come stabilito in un documento del 1439 ove si delibera di vendere a lacomo d'Andrea Tolomei "la possessione di Campriano con le pertinentie sue e pezi di terra a quella pertenenti, riservati i boschi a lo spedale".
Il castello, dopo essere stato nelle disponibilità della Repubblica di Siena venne in possesso nel 1502, dei nobili fratelli Giulio ed Antonio d'Ambrogio Spannocchi, ricchissimi personaggi molto in vista nella città.
Oggi il castello si presenta come un complesso molto articolato, su tre cinte murarie con torrioni agli angoli che costituiscono un possente terrapieno sul quale si erge la chiesa romanica dedicata a S. Giovanni Battista. Si tratta di una costruzione antica che il Merlotti descrive così: “All'interno è assai spaziosa, benché non straordinariamente grande: essa è coperta a cavalietti; menoché sul presbiterio è a volta sotto cui risiede l'altare maggiore all'uso romano formato a materiale ed ornato di lavori plastici con due colonne marmorate che ne sorreggono il frontespizio; in mezzo alle quali sta un quadretto coll'Immagine di Maria Vergine. L'altare destro della chiesa è dedicato alla Madonna del Rosario; ed era uffiziato da una Compagnia laicale sotto lo stesso Titolo, rimasta soppressa per il noto Rescritto Granducale del 6 aprile dell'anno 1785, ripristinatavi poi col nome di Compagnia di carità unicamente per il servizio della parrocchia.
 Quest'altare è internato nella parete per cui se ne formò quasi un piccolo oratorio: ivi sta un quadretto in tela esprimente Maria Vergine col Divino Bambino sulle braccia, ed a basso vedensi le immagini di S. Domenico e di S. Caterina da Siena, opera colorita dal Cav. Giuseppe Niccola Nasini artista senese. All'intorno vedonsi coloriti in affresco i Quindici misteri del Rosario con un sapore di tinte e con un disegno veramente salimbenesco; come pure sono coloriti in affresco i quattro santi sull'arco dello stesso altare, opere commendevoli di Stefano Volpi, similmente pittore senese, che fioriva intorno agli anni 1606. Di fronte sull'opposta parete della chiesa vedesi pure un altro altare laterale con sue colonne a plastica marmorizzata, con un quadro in tela, esprimente S. Nicola da Tolentino con lo stemma gentilizio della Nob. Famiglia Spannocchi Signori del Castello, come più avanti osserveremo; ma questo altare serve più specialmente per ornamento della chiesa, perché non fu destinato per la celebrazione del Divin Sacrificio. In fondo alla detta chiesa è parimente l'orchestra di più  moderna costruzione, ove si accede da uno dei lati della medesima.”
Occorre rivolgere un’attenzione particolare all’effige della Madonna col Bambino, oggi custodita presso il Museo d’Arte Sacra della Valdarbia a Buonconvento e attribuita a Pietro Lorenzetti (doc dal 1305 al 1345), e della quale riteniamo interessante riportare le note con le quali è stata descritta in passato da autorevoli personaggi come:

F. Brogi - Ispettore dell’Accademia di Belle Arti “Inventario Generale degli oggetti d’Arte della Provincia di Siena- 1862-1865”:
    “Al di sopra in un vuoto vi è:” La Madonna che tiene sul braccio sinistro Gesù Bambino, il quale ha in mano un piccolo panno, che pende dal collo della Madre. Tavola dipinta a tempera con mezze figure di proporzione naturale, fondeggiate in oro. Altezza 0,88 larghezza 0,52 - Secolo XIV. Simone di Martino. Scuola senese.”
Le note a fondo pagina riportavano: “Ha subito qualche restauro, specialmente nelle mani della Vergine.”

F. Mason Perkins - Da “La Diana” Rassegna d’Arte e vita senese - Anno VI- 1931- Fascicolo III_ pag. 197
La foto porta la seguente scritta: Anonimo senese del secolo XIV - Madonna e Bambino”
“Questo lavoro” d’importanza relativa, danneggiato e in parte ridipinto, attribuito dal Brogi, in un momento d’entusiasmo, a Simone Martini, è opera di un anonimo pittore della seconda metà del Trecento, il quale, mentre rivela l’influenza di Pietro Lorenzetti, si avvicina sensibilmente al suo contemporaneo Bartolo di Fredi, e più ancora a Luca di Tommè. Le rassomiglianze coll’arte di quest’ultimo sono certe, soprattutto nella testa e nelle mani della Vergine. L’artista non può comunque identificarsi con Luca (e tanto meno con Bartolo), apparendo le somiglianze collo stile di quel pittore di natura abbastanza superficiale, come può vedersi, confrontando appena il dipinto con le opere certe di Luca, fra le quali quella della chiesa di San Niccolò a Foligno, della Pieve a Piana e del Museo di Lucignano da noi stessi illustrati.  Alla Madonna di Campriano mancano, ad esempio, i contorni e la conformazione tutta particolare della gota e del mento delle teste di Luca, così marcati nei quadri citati. Anche le proporzioni del naso, la forma della bocca e degli occhi (questi più vicini se mai, all’arte di Bartolo di Fredi), la modellatura delle carni, sono diverse. Lorenzettiano è invece il piccolo Gesù tanto per il tipo quanto per i singoli tratti. Curioso è il difetto strabico, leggero ma evidente, dello sguardo. Abbiamo detto che il quadro si trova in uno stato deplorevole: svelato e in più luoghi malamente ridipinto, esso ha ora un’apparenza di tristezza. Giudicando però dalle poche parti rimaste intatte, o quasi, ci convinciamo che un tempo poté serbare una certa attrattiva di forma e decorazione, come un certo merito tecnico, poiché le linee generali della composizione e la disposizione delle figure erano certo buone e le pieghe e i drappeggiamenti delle vesti della Vergine decorose di grazia. Il viso della Madonna è tuttora gentilmente espressivo, mentre le mani non difettano d’eleganza. Anche il colorito, molto nascosto dalle tinte smorte e sbiadite del restauratore secentesco, sembra fosse in origine chiaro, variato e gradevole.
La tavola ha, infine, una fenditura verticale che dal basso giunge fino al petto della Madonna.”

Continua



Testi consultati:
Il Territorio di Murlo e le sue chiese
di Mario Filippone – Nuova Immagine1994
Memorie storiche delle Parrocchie Suburbane della Diocesi di Siena di Giuseppe Merletti – Cantagalli 1995
Tra Siena e il Vescovado l’area della Selva
I Castelli del Comune di Murlo
di Vincenzo Passeri - Studium Editrice  1984
La Diana - Rassegna d’Arte e vita senese Anno VI -1931 -Fascicolo III_pag. 197






Campriano
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