MURLOCULTURA n. 1/2008

Come ci si divertiva noi vecchi quando “s’era piccini”

I giochi dei nostri tempi

 

di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Il 15 marzo scorso, a Monteroni presso la sala delle Macine del mulino, Valerio Pascucci ha presentato il suo libro di storie di paese e ricordi giovanili dal titolo: “Quando si giocava a pio”. L’autore, oltre all’intento di conservare la memoria di un mondo scomparso, ha avuto il pregio di stimolare nei presenti anziani il risveglio delle loro memorie assopite invitandoli ad emularlo. Mi sono tornate così in mente reminiscenze antiche sulla mia vita di ragazzo a Siena e sul modo di divertirsi a quell’epoca. Andavo all’Oratorio in via del Sole negli anni anteguerra, quando non “restavo a far danno” nel rione oppure “fuori porta”. I nostri giochi, quando non disponevamo di una palla, “magari di cencio”, erano semplici e diversi legati soprattutto alla nostra inventiva oltre all’assoluta carenza mezzi. Le nostre risorse si limitavano a qualche soldino rimediato chissà come e raramente potevano disporre di una lira. Con essa si potevano acquistare dalla “Billa” al ponte di Romana o al negozietto poco lontano sotto l’Arco fra la macelleria Maccherini e il bar di Beppina Coli, venti barberi di coccio… appunto a un soldo l’uno. Erano palline di terracotta con un po’ di lustro sopra che conservavamo in sacchette improvvisate o nelle tasche dei pantaloni corti che prima o poi si sfondavano seminandole dappertutto. Come da ogni parte anche a Siena avevamo le nostre usanze nel fare i giochi e spesso lo stesso gioco prendeva un nome diverso a seconda del luogo ove veniva fatto. Ma vorrei tralasciare da parte le note biografiche per cercare di descriverli più in dettaglio seguendo il filo dei ricordi e partendo, appunto dai Barberi. Con essi si potevano fare tanti giochi che, osservati con la mania attuale di voler classificare tutto, si potrebbero suddividere in tre gruppi: Interessato, Ludico, Didattico.

Il primo era il più diffuso e consisteva nel cercare di aumentare il proprio gruzzolo di barberi a spese di altri con le stesse intenzioni. Si partiva dal più semplice chiamato Manarota che si giocava in due e consisteva nel nascondere le mani dietro la schiena per stringere in una di esse un barbero e quindi ruotare dinanzi al concorrente i pugni chiusi dicendo:

“Manarota, manarota, quale è piena e quale è vota?”

l’altro sceglieva, dopo aver attentamente scrutato quale mano risultasse più gonfia dell’altra e se indovinava il barbero era suo altrimenti ne doveva dare uno di tasca. Le possibilità di vincere o perdere si equivalevano ma esisteva anche qualche tentativo d’ingannare l’avversario col gonfiare ad arte la mano vuota quasi contenesse essa stessa il barbero. Era un giochino che veniva a noia presto e non consentiva grosse vincite o perdite.
Si giocava poi a Buchetta in due o tre ragazzi. Questo gioco presupponeva una certa dose di abilità e si svolgeva in una porzione di terreno di circa tre metri per tre.

Buchetta - disegno di Luciano Scali

Fig. 1 - Il gioco della Buchetta

Veniva scavata una buchetta della capacità di una “giumella” ovverosia di due mani congiunte a vaschetta, quindi stabilita l’entità della posta, due o più barberi a testa, veniva incaricato uno a turno di raccoglierli e sparpagliarli sul terreno. Si faceva poi la conta e il vincente aveva il diritto di iniziare il gioco partendo dal barbero disposto più lontano dalla buchetta cercando di farvelo entrare con un solo colpo dell’indice tenuto piegato ad arte (vedi figura 1). Se il colpo gli riusciva ed il barbero restava nella buca, questi diveniva suo cosicché poteva continuare a tirare fintanto non sbagliava, altrimenti il gioco passava al successivo concorrente colle stesse regole. Di solito i primi tiri erano i più difficili ma servivano ad avvicinare il barbero alla buchetta cosicché se uno, oltre ad essere abile era anche fortunato, poteva aggiudicarsi con una serie di colpi precisi il maggior numero di palline. Talvolta era necessario ricorrere alla misurazione della distanza allorquando si doveva stabilire quale fra due barberi fosse quello più vicino alla meta. Stecchini o fili d’erba erano di aiuto in queste operazioni abbastanza frequenti, oppure pezzi di spago che non mancavano mai nelle tasche dei ragazzi dell’epoca. Con l’ultimo “colpo in buca” il gioco riprendeva daccapo fino a quando il più dotato non riusciva “a ripulire” tutti gli altri dei loro piccoli tesori.

La Zumberina  era un gioco di posizione con un tenutario che metteva su banco, e un numero indefinito di giocatori. In questo caso si giocava contro chi si proponeva come banco “rizzando la zumberina” ovverosia una pallina sovrapposta ad altre tre accostate con funzione di base (vedi figura 2).

Zumberina - disegno di Luciano Scali
Fig. 2 - Il gioco della Zumberina


Questo mucchietto rappresentava il bersaglio che doveva essere colpito dal concorrente posto ad una distanza limite stabilita solitamente in tre passi. Il successo di questo gioco per chi “teneva banco” consisteva nella sua preparazione. Questi se ne stava seduto per terra a gambe divaricate. Aveva provveduto a scavare una capiente buchetta dinanzi la quale posizionava la zumberina curando di porla in leggera posizione rialzata ma in modo che non desse troppo nell’occhio per non scoraggiare il concorrente o per suscitarne le  rimostranze. Questi avrebbe dovuto colpire il bersaglio facendo strisciare il barbero sul terreno anziché colpirlo bocciandolo. La posizione leggermente rialzata facilitava la deviazione del barbero che aggirava così la zumberina finendo, quale preda, nella buchetta. Il banchista  esperto poneva sempre la zumberina in modo da presentare l’apice della sua base verso il concorrente per limitargli la superficie d’impatto. Se la zumberina veniva colpita, i quattro barberi che la componevano venivano incamerati dal giocatore mentre il banco provvedeva a rizzarne una nuova. Una variante a questo gioco, meno rischiosa per il banco ma anche più appetibile per il concorrente abile, era quella denominata “uno per”  (di solito uno per cinque) dove in luogo del mucchietto di barberi se ne poneva uno soltanto al quale conferire, appunto, un valore. Questo stava a significare che colui che riusciva a colpire il barbero isolato, aveva diritto ad un compenso di cinque barberi. Tale compenso poteva non avere limite; variava solamente la distanza da dove effettuare il tiro: più la posta era alta, maggiore era la distanza dal bersaglio.

...continua nei prossimi numeri



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