MURLOCULTURA n. 3/2011

Averle o non averle?
Il significato di una siepe

 
di Barbara Anselmi


Associazione Culturale di Murlo
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Averla capirossaAverla piccola    
L'averla capirossa (Lanius senator) a sinistra e l'averla piccola (Lanius collurio) a destra


Averla cenerina   Averla maggiore

L'averla cenerina (Lanius minor) a sinistra e l'averla maggiore (Lanius excubitor) a destra
Ci sono alcuni pezzi di campagna nel nostro Comune nei quali è ancora possibile osservare le averle, un gruppo di piccoli uccelli migratori appartenenti alla famiglia del Lanidi e al genere Lanius, che nel senese sono meglio conosciute come castriche o gueie. Il nome gueia, quello più usato anche nel territorio di Murlo da chi conosce questi uccelli, è del resto molto antico, tant'è che veniva utilizzato anche dai naturalisti ottocenteschi, come si ricava leggendo gli Atti dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena. Il nome latino del genere (Lanius) significa “carnefice”, probabilmente in riferimento alle abitudini di vita di questi uccelli che, seppur di dimensioni inferiori a quelle di un tordo, cacciano in picchiata grossi insetti e talvolta piccoli topolini e uccelli, catturati con veloci picchiate, in modo simile ai rapaci.
Come si diceva, in alcuni limitati scampoli di campagna murlese, situati essenzialmente nella zona di Aiello, Sovignano e Radi, sono state osservate in primavera-estate, in anni diversi, ben 3 specie differenti: l’averla capirossa o gueia capo rosso (Lanius senator), l’averla piccola o gueia gazzina (Lanius collurio) e l'averla cenerina (Lanius minor). In autunno queste tre specie migrano in Africa per svernare e lasciano il posto all'averla maggiore o gueia comune (Lanius excubitor), che viene dal nord Europa, dove nidifica, per svernare dalle nostre parti.
Fatto curioso è che questi uccelli sembrano essere veramente abitudinari e strettamente affezionati al mosaico di prati, pascoli, siepi, cespugli e alberi isolati che caratterizza ancora queste campagne: infatti i maschi ogni anno ritornano sempre nello stesso punto, occupando una zona di dimensioni non superiori a un ettaro nel quale faranno il nido, spesso usando lo stesso arbusto dell’anno precedente. Addirittura di anno in anno le si rivede posate sulla stessa siepe, sullo stesso ramo secco, o palo o filo della luce, in attesa di piombare addosso alla preda. Una loro curiosa abitudine è quella di farsi una dispensa di cibo: tendono infatti a infilzare le prede nelle spine delle piante o anche del filo spinato, per tornare a mangiarsela in un secondo momento. Le siepi spinose come il biancospino, la rosa canina e il prugnolo sembrano essere le preferite anche per costruire il nido. Tutte e quattro le specie di averle cha abbiamo la fortuna di avere ancora nel nostro territorio (anche se con pochissime coppie), un tempo erano comuni, ma oggi sono diventate il simbolo del cambiamento dell’agricoltura: negli ultimi 20 anni sono infatti praticamente sparite in tutta Europa a causa dei pesticidi, che hanno annientato le popolazioni di insetti di cui si cibano, e della graduale sparizione di pascoli, siepi e alberi isolati, vale a dire della diversità del paesaggio rurale. Oggi resistono ancora in queste piccole “isole” di campagna “vecchio stile”, in un equilibrio precario e legato alla gestione che faremo del nostro territorio agricolo. Ecco perché prima di togliere anche un solo cespuglio “inutile” bisognerebbe riflettere e pensare se è davvero necessario alla cosiddetta produttività aziendale...

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