MURLOCULTURA n. 4/2006
Carrellata sui mestieri in mutazione
Il Muratore

di Luciano Scali
5a puntata
Associazione Culturale di Murlo
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Larco a sesto acuto viene anche detto “a ogiva o ogivale” poiché costituito da “due archi di cerchio che incontrandosi formano  un vertice alla sommità” (1).
La vista di archi a sesto acuto,  inseriti in antichi manufatti, non sarà sfuggita a nessuno, non solo a chi è abituato a frequentare Siena e dintorni, ma anche a coloro che sanno osservare pur vivendo in realtà piccole come la nostra. L’esistenza di un arco a sesto acuto si rileva sulla porta d’ingresso della chiesa di S. Fortunato a Murlo, e sopra una piccola finestra nel Palazzone. Poche cose rispetto a Buonconvento o Montalcino, ma sufficienti a rilevarne l’esistenza. La sua origine va ricercata nella necessità  estetica di dare slancio alle aperture che delimitava, in quella pratica di catturare più luce possibile atta ad illuminare spazi interni sviluppati solitamente in altezza, ma anche per particolari ragioni statiche allorché fosse destinato a “sopportare un forte carico concentrato in chiave” (2). Qualunque sia stata la ragione predominante, bisogna riconoscere a questo arco un’eleganza tutta particolare che ha trovato nelle cattedrali gotiche la sua massima espressione. I primi archi conosciuti erano “aperti” e a “sesto normale”. Per “aperto” deve intendersi un arco completamente libero, senza interposta muratura fra gli intradossi dell’arco stesso. Esempi illuminanti li troviamo nelle fonti monumentali senesi: Ovile, Fontebranda, Fontenuova… ed anche nei vicini Eremi di San Galgano o S. Lucia ove è possibile tra l’altro scoprire il significato di “sesto normale” ove i due punti d’imposta e la chiave dell’arco rappresentano i vertici di un triangolo equilatero. Ai giorni d’oggi di archi a sesto acuto non se ne fanno più, non si saprebbe dove e come impiegarli e poi apparirebbero anacronistici, specie se posti in mezzo a costruzioni che interpretano personali canoni di architettura funzionale. Questa considerazione non deve però distoglierci dall’idea primaria tesa a perseguire l’obiettivo di riuscire a comprendere e realizzare un arco a sesto acuto, seppur considerato inutile. Si fissano sul piano d’imposta i punti A e B corrispondenti alla distanza tra le spallette del passaggio da coprire quindi, facendo perno sugli stessi con due rande AB e BA, si tracciano due archi di cerchio fino al loro incontro in V. Questi rappresenterà il vertice dell’arco. Per realizzarlo, dopo aver preparata la “barulla” (3) occorrerà predisporre una terza randa con il centro corrispondente alla mezzeria del piano d’imposta, per poter dare la giusta inclinazione ai mattoni e suggerire lo scarto degli stessi nel senso dello spessore (fig. 1).

Arco a sesto acuto normale





Fig. 1 - Arco a sesto acuto
Normale








Anche il “bardellone” (4), a coronamento dell’arco, viene realizzato con la stessa procedura.
In importanti realizzazioni gotiche, il sesto veniva allungato conferendo così all’arco un aspetto diverso: “ a lancetta o lanceolato”, appunto per la sua rassomiglianza alla lancia. Per realizzarlo occorre stabilirne l’altezza dal momento che la larghezza si presuppone nota, quindi si procede alla determinazione dei punti A’ e B’ sui quali fissare le rande.
I punti menzionati, pur restando sul piano d’imposta saranno più o meno lontani dalle partenze dell’arco e quest’ultimo risulterà più allungato di quello a sesto normale (fig. 2).

Arco a sesto acuto a lancetta




Fig. 2 - Arco a sesto acuto
A lancetta









Esempio tipico di quest’arco si ravvisa nel doppio colonnato che contorna il chiostro dell’Abbazia di Mont Saint Michel in Bretagna ove, a causa della sua ubicazione tra due file di colonne poste sfalsate fra loro, acquisisce un aspetto al limite del surreale (fig. 3).

Il chiostro di Mont Saint Michel



Fig. 3
Il Chiostro di Mont Saint Michel







A questo punto è necessaria una precisazione: negli archi a sesto acuto, specie in quelli a lancetta, si rileva una notevole difficoltà a conciare i mattoni che lo compongono. Le inclinazioni fornite dalla randa centrale, obbligano ad intervenire, non solo su ambedue le facce del mattone ma anche sugli spessori. Per ovviare a tutto questo, si fece ricorso alla pietra che poteva inglobare in ogni concio l’equivalente di più mattoni. Nelle grandi cattedrali, si realizzavano archi simili con soli tre pezzi, adottando speciali accorgimenti per assemblarli in sicurezza. Non è raro, quindi imbattersi in archi a sesto acuto realizzati con conci di pietra anziché a mattoni, anche in palazzi con paramenti in cotto. Il connubio fra mattone e pietra, spesso adottato nelle costruzioni  patrizie senesi, oltre ad apparire gradevole ed elegante risolve con successo una spinosa realtà costruttiva. Tra gli archi a sesto acuto esiste anche la versione “depressa” ove, appunto, il sesto è ribassato. L’arco, con l’aspetto “più appoggiato”, verrà adottato quando la distanza fra le sue imposte risulterà ragguardevole non consentendogli di elevarsi troppo in altezza.

Schema comparativo fra archi a sesto acuto





Fig. 4
Schema comparativo fra archi a sesto acuto








Per realizzarlo, basterà fissare quella voluta come nel  lanceolato, tenendo presente che i punti ove fissare le rande si troveranno  sempre sul piano d’imposta, ma all’interno, fra gli appoggi stessi, come da  schema  comparativo fra gli archi,  con riferimento  A2 (fig. 4).

(Continua)


Note                      
(1) Salvatore Battaglia - Grande dizionario della Lingua Italiana, UTET Torino, 1961.
(2) Cremonese – Manuale del costruttore edile e del geometra, Perrella, Roma, 1949.
(3) Barulla: nome con il quale si indica il supporto sul cui porre ed aggiustare i mattoni durante la costruzione dell’arco.
(4) Bardellone: è il termine con cui s’identifica la fila di mattoni messi per piano sull’estradosso dell’arco. In pratica un vero e proprio arco di scarico.


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