MURLOCULTURA n. 4/2007
Carrellata sui mestieri in mutazione

IL MURATORE

testo e disegni di Luciano Scali
nona puntata
Associazione Culturale di Murlo
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La volta a padiglione deve considerarsi l’antesignana di altre molto più complesse capaci di conferire all’area da esse coperta, un aspetto imponente e raffinato. Abbiamo in precedenza accennata “la nascita” della volta a padiglione ottenuta dotando quella a botte di due terminali curvi per raccordarla alle rispettive pareti di chiusura (i padiglioni, appunto); si ritiene opportuno, adesso, di darle uno sguardo ravvicinato per comprendere meglio la sua “metamorfosi”.
Per la copertura di ampie superfici ove la volta a botte a tutto sesto ne avrebbe aumentata in maniera anomala l’altezza, si ricavava una zona centrale pressoché piana aggiungendo al suo perimetro i quattro padiglioni per raccordarla alle pareti (Fig.1).

Volta a padiglione, prospetto e sezione



Fig. 1 - La volta a padiglione: prospetto e sezione.

























Per avere un esempio dell’imponenza che può assumere una volta a padiglione, basta recarsi nel Palazzo Comunale di Siena e prendere visione di quella che copre la “Sala degli Arazzi” o del “Catino” affrescata nel 1529 da Domenico Beccafumi. In questo caso specifico la decorazione valorizza il manufatto con episodi di storia romana e greca esaltanti le Virtutes politicae, inseriti, con efficaci prospettive, in più riquadri geometrici.
Il risultato ottenuto conferisce alla volta un aspetto di ampio respiro che va oltre la sua stessa struttura.
Interessante è il rapporto esistente tra l’altezza H delle pareti e quella effettiva h1 della volta (monta o freccia) ove h1 risulta essere i 2/3 circa di H.
Da tenere presente che “col diminuire della freccia h1 aumentano le spinte della volta sulle pareti laterali che la supportano”.
Occorreva quindi tenere d’occhio tali rapporti ricorrendo, allorquando le pareti perimetrali non davano sufficienti garanzie di stabilità, all’ausilio di catene per ridurre la spinta esercitata dalla volta.
Prima di passare ad illustrare in dettaglio quanto sopra accennato, vorrei dire qualcosa sui “pennacchi o spicchi sferici” già citati nel numero precedente.
Si faceva ricorso all’inserimento di tali elementi quando si voleva rendere meno accentuata la giunzione fra il tratto della volta a botte ed il padiglione.
Occorreva anzitutto operare modifiche alla pianta che, nella realizzazione più semplice, prevedeva l’arrotondamento degli spigoli della stanza (Fig. 2).


Volta a padiglione con spigoli arrotondati
Fig. 2. Volta a padiglione con spigoli arrotondati.




























In primo luogo si trattava di stabilire l’ampiezza dello spicchio di raccordo tenendo d’occhio l’altezza dell’imposta della volta poiché, con l’estendersi del suo valore (x) si ampliava il peduccio (o mensola) sottostante sulla quale lo spicchio sarebbe poggiato (Fig. 3). In questo caso gli spigoli della stanza da coprire avrebbero dovuto adeguarsi allo scopo, accogliendo peducci più o meno alti in funzione di x. Di solito il valore di x veniva contenuto e di conseguenza anche quello del peduccio, ma se il vano da coprire fosse stato molto alto, anche la volta poteva esserlo cosicché un peduccio di grandi dimensioni non avrebbe sfigurato con quelle delle pareti.

Volta a padiglione con peduccio e pennacchio
Fig. 3. Volta a padiglione con peduccio e pennacchio


































Nel caso poi di dover procedere alla decorazione dell’ambiente “a fresco”, la superficie del peduccio si sarebbe ben prestata allo scopo. Interferire sugli angoli della stanza, specie se dotata di pareti con altezza limitata, avrebbe potuto impedire l’inserimento di futuri arredi, cosicché i tecnici del momento trovarono soluzioni più ardite ma capaci di risolvere il problema con efficacia ed eleganza.
L’idea rinascimentale di inserire “lunette” nella volta a padiglione si rivelò geniale e di grande effetto poiché consentì di superare l’inconveniente e di realizzare complessi manufatti, come nel caso della Sala “Dell’Unità d’Italia” nel Palazzo Comunale di Siena.
In questo luogo le zone a padiglione vennero, appunto costituite da lunette realizzate affiancate che, assieme alle “vele” derivate dalla loro posizione, vennero a formare il padiglione sul quale poggiare il “catino” ovvero la parte centrale della volta poi riccamente affrescata (Fig. 4).

Volta a padiglione con lunette

Fig. 4. Volta a padiglione con lunette



La vista del manufatto ultimato non deve trarre in inganno con le sue complessità poiché queste si manifestavano prevalentemente in fase progettuale. Si trattava di concepire e portare avanti un progetto in cui le singole parti delle strutture s’integrassero stabilendo un mutuo equilibrio capace di dare stabilità a tutto l’insieme. In effetti, ogni singola porzione della volta non doveva essere gravata da sollecitazioni diverse dalla compressione.
Le caratteristiche dei materiali impiegati (laterizi in genere) consentivano loro di resistere solo a quel tipo di sollecitazione e quindi solo ad essa dovevano essere sottoposti. In ogni caso, sia in fase progettuale che di realizzazione, tale condizione veniva scrupolosamente osservata ricorrendo soltanto, come nella sopraccennata volta della Sala dell’Unità d’Italia, all’ausilio di catene per contenere le tendenze verso sollecitazioni di altra natura.
Il procedimento pratico per la realizzazione della volta, prevedeva anzitutto la determinazione della posizione dei peducci sui quali venivano impostate le lunette, seguendo il dettaglio degli “spartiti” della stanza. Quando necessario, prima dell’inizio di qualsiasi altra fase costruttiva, venivano poste in opera le catene dopo essersi assicurati che le stesse avessero un sufficiente aggancio (meglio se potevano usufruire dell’intero spessore del muro) e quindi venivano poste in tensione. Dopo avere provveduto alla realizzazione di un ponteggio piuttosto ampio attorno alla stanza si procedeva a costruire senza armature le lunette fino ad un’altezza di poco più di un metro servendosi unicamente del filo per mantenere gli allineamenti. Allorquando gli spazi consentivano di poter lavorare dal sopra, si approntava l’armatura in legno per ultimare le lunette e le vele ottenendo così i padiglioni sulle cui sommità si sarebbe poi appoggiata la parte centrale della volta. Inutile ricordare che il manufatto veniva continuamente “rinfiancato” man mano che stava crescendo. La parte centrale della volta, intonacata ed affrescata non consente oggi di visionarne l’orditura, vale a dire se si sia proceduto a disporre i mattoni per linee diagonali previa suddivisione della superficie in settori, oppure se siano stati usati altri metodi come spesso si può osservare in ambienti con volte di antica fattura.
Vedremo in seguito quali metodi venivano usati dai “voltini” (1) nell’eseguire la copertura di ambienti a loro affidati. La leggera monta in senso longitudinale che trasversale alla parte centrale della volta, era garanzia di perfetto contrasto con la sommità dei padiglioni.
La volta della Biblioteca Piccolomini a SienaUn’altra mirabile volta che tutti possono facilmente vedere, si trova nella Biblioteca Piccolomini (Fig. 5) nella Cattedrale di Siena. Le sue dimensioni sono più raccolte tanto da non avere bisogno delle catene per contenere la spinta della volta, anch’essa a padiglione con lunette. La Biblioteca venne costruita nel 1492 dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, divenuto poi Papa col nome di Pio III per raccogliere le opere dello zio materno Pio II e per celebrarne le gesta.
Di fattura rinascimentale come appare, anche quella del Palazzo Comunale.

(Continua)


Nota
(1) Voltino. Così chiamato dalle nostre parti il muratore specializzato nell’eseguire volte. Di solito operava in coppia col manovale incaricato di bagnare in maniera giusta i mattoni e preparare il gesso per murarli
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