MURLOCULTURA n. 4/2011

CARRELLATA SUI MESTIERI IN MUTAZIONE

IL MURATORE

di  Luciano Scali

ventiquattresima puntata
Associazione Culturale di Murlo
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Qualcuno ancora oggi afferma che le costruzioni del passato erano molto più semplici delle attuali poiché chi andava ad abitarle era meno esigente e si accontentava più facilmente di quanto le strutture potevano offrire. Il riferimento riguarda le abitazioni popolari, assomiglianti più a ricoveri che a case vere e proprie dove l’esigenza di poter disporre di un riparo andava oltre ad ogni altra considerazione di ordine estetico o funzionale. Gli spazi a disposizione erano piuttosto angusti ma sufficienti per assicurare una protezione durante le ore notturne e la cattiva stagione. I palazzi della nobiltà e dei cittadini benestanti si presentavano con stanze ampie dai soffitti altissimi che abbisognavano di camini adeguati e di bracieri disposti ovunque per riscaldarle ma, soprattutto, di notevoli risorse per mantenerli in efficienza.
Nelle abitazioni della povera gente il problema si poneva in altri termini e veniva affrontato con semplicità poiché gli spazi disponibili risultavano sovraffollati e quindi anche il “calore umano” rappresentava una fonte energetica da non trascurare.
Il connubio tra spazi ristretti e concentrazione di persone dalle esigenze limitate diveniva una condizione essenziale per sopravvivere durante i rigidi mesi invernali. Tutto questo, però a discapito della qualità di vita, dell’igiene e della libertà personale. Per la realizzazione delle abitazioni di cui trattasi venivano impiegati materiali di facile reperimento in loco, ed erano caratterizzate da spazi contenuti, pareti di forte spessore, soffitti bassi, finestre di ridotta superficie e camini ove fosse consentito di poter cucinare.
Il problema più serio consisteva nel procurare il laterizio, il legante ed il legname. Per gli inerti, rena e breccia, veniva fatto ricorso ai restoni dei fossi e torrenti venutisi a formare in seguito alle piene primaverili e autunnali.
Se nei pressi della costruzione da edificare si trovavano rocce idonee, come galestro, alberese o balzano, veniva approntata una fornace a buca dove cuocere la pietra adatta usando le fastella ottenute smacchiando il sottobosco. Lo stesso accadeva laddove era arrivato il mare pliocenico e dove si erano sedimentati grandi depositi di argilla. Oltre alle fornaci fisse per mattoni, ne sorgevano altre rudimentali nelle quali cuocere per un paio di volte giusto il fabbisogno per quella costruzione specifica. Per il legname, se andiamo ad osservare le vecchie case di Murlo, Vallerano e i resti di poderi sparsi ovunque, potremo vedere come, per la bisogna, sia stato usato ogni tipo di essenza presente sul territorio: querce, leccio, castagno, faggio e pioppo. Gli abitanti del passato non si formalizzavano troppo sul lato estetico del futuro trave e quanto si prestava ad essere impiegato andava bene purché desse sufficienti garanzie di integrità e resistenza. Più difficile era procurarselo, viste le limitate risorse disponibili, ed una volta acquisito veniva posto in opera ricorrendo a soluzioni geniali che ancora oggi non cessano di stupire. Dotarsi di manufatti e materiali metallici era invece molto più complicato e lo dimostra l’uso parsimonioso che ne veniva fatto legato in prevalenza al funzionamento dei serramenti ed alla sicurezza. Ancora oggi, nell’osservare i resti di antichi poderi, è possibile accertare la provenienza dei materiali gettando un’occhiata alle risorse circostanti e nel contempo avere l’indicazione delle attività prevalenti del podere desumendolo dalla capacità e dalla disposizione dei vani e degli annessi oltre che dal loro orientamento.
Le costruzioni antiche presentavano un aspetto di grande solidità e non solo per i materiali impiegati ma per il forte spessore delle pareti, spesso realizzate con materiali sporadici e di ogni tipo ivi comprese “le pillole di fiume” ovvero quelle pietre procurate nell’alveo dei corsi d’acqua con i bordi arrotondati al punto da farle rassomigliare a sfere irregolari. Tali elementi risultavano piuttosto difficili da sovrapporsi per costituire pareti di limitato spessore, mentre in quelle più larghe il compito diveniva più agevole. Nelle prime, per poterle tenere assieme, occorreva fare uso di frequenti ricorsi in laterizio per legarle e rendere stabili, con un incremento di costi che nel maggiore dei casi si rivelava insostenibile. Era preferibile e conveniente allargare lo spessore dei muri ricorrendo, in alcune situazioni, al riempimento della parte centrale con materiali sciolti come calcinacci, ghiaia o, addirittura tufo (fig. 1). L’impiego di laterizi o pietra squadrata si limitava alle cantonate, alle spallette di porte e finestre, a qualche arco, ai solai e al tetto. Spesso anche per le piattabande veniva usato un trave di legno e in qualche occasione il trave stesso fungeva da lega all’interno della muratura.

Muratura senza e con ricorsi - disegno di Luciano Scali

Fig. 1 Esempi di muratura senza e con ricorsi.

Nel comprensorio di Murlo, dove le essenze forti non fanno difetto, era piuttosto facile procurarsi il legname adatto ai vari bisogni, anche se in qualche occasione, non mancano esempi sull’uso di abete e gattice. Di norma la trave stagionata e priva di corteccia veniva posta in opera così com’era ovvero senza essere squadrata, cosa che oggi non accade più nei lavori di restauro oppure “di rifacimento al vecchio” nei poderi ristrutturati e adibiti a seconda abitazione o ad agriturismo.
Il fusto veniva decorticato prima della stagionatura privandolo anche dell’alburno dove di preferenza si annidavano i parassiti che con la loro azione avrebbero potuto pregiudicare l’integrità della futura trave (fig. 2).

Sezione tronco - disegno di Luciano Scali

Fig. 2 Sezione di un tronco.

Al momento della sua posa in opera la trave stagionata veniva sottoposta ad un’accurata osservazione. Si percuoteva in più punti col martello per assicurarsi che desse un suono vibrante e non sordo indice di integrità, quindi si passava al suo aspetto individuando dove avesse la cavallina ovvero quella leggera curvatura del suo asse longitudinale che di solito assumeva a causa della posizione in cui era venuta a trovarsi durante la stagionatura.
Nel porre la trave in opera ci si assicurava che la curvatura fosse rivolta verso l’alto in modo che sottoposta ai futuri carichi tendesse a raddrizzarsi con un leggero effetto arco. La componente del carico che spingeva verso l’esterno veniva assorbita dall’incastro irrigidendo la trave a tutto vantaggio della stabilità del solaio (fig. 3).

Stagionatura - disegno di Luciano Scali

Fig. 3 Stagionatura del legname (in basso) e posa in opera (in alto).

Il notevole spessore del muro garantiva il perdurare di tale effetto.


(continua)



Note

La fig. 2 è tratta da:
Elementi di Tecnologia, Montanini e Panazza - Lattes & C. Editori, Torino, 1933.




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