MURLOCULTURA n. 5/2005
Viaggi nella memoria

L'Ingolla, cascata misteriosa

di Annalisa Coppolaro
Associazione Culturale di Murlo
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Lupompesi é un paese fiabesco. Qui la realtà finisce ed iniziano le leggende, tra i boschi fittissimi dove si odono le grida dei caprioli e forse l’abbaiare di lupi simili a quelli che secoli fa dettero nome al paese. Nome longobardo, si dice. Ma le radici di questo borgo sono certo più lontane, resti villanoviani giacciono presso Lupompesi, e per ora non sappiamo quali davvero siano le sue origini nel tempo. Tra i molti angoli fiabeschi di questo antico luogo, c’é la ‘’nostra cascata’’, l’Ingolla. Posta in fondo alla vallata, raggiungibile solo per un viottolo nascosto tra boschi ripidissimi, se ne sente il gorgogliare durante l’inverno, quando la Crevole é in piena e la piccola cascata estiva, quasi addormentata, si risveglia con una potenza sorprendente e scavalca il muretto di cemento armato, inondando le tre aperture rotonde create decine di anni fa per permettere al torrente di scendere verso le rocce e poi infrangersi su impervi scogli rossastri. Quando eravamo piccini, diciamo trent’anni fa, l’Ingolla era per noi costante fonte di sorpresa, mistero, orgoglio e meraviglia. Il fatto di avere ‘’la nostra cascata’’ ci rendeva anche più fieri di essere lupompesini; scendevamo spesso, in primavera ed estate, ad osservare i rivoli d’acqua gettarsi a valle, e sempre, ci chiedevamo quale fosse l’origine del suo nome sinistro. Ovviamente lo chiedevano ai nostri nonni; il mio, nonno Remo Carapelli, lupompesino d.o.c., aveva una spiegazione quasi per tutto. Secondo lui, o almeno secondo suo babbo Alessandro, l’Ingolla fu chiamata così perché “una volta ci cascò una donna, e non la ritrovarono più, fu ingollata dall’acqua, laggiù in fondo, dai molinelli, tra la spuma della cascata”. E mi mostrava il tombolo in basso, spiegandomi che di quei tempi l’Ingolla aveva molta più acqua, e ripetendo di fare attenzione quando attraversavamo il bordo del murello di cemento a strapiombo sopra la cascata. Non so se fosse vero o se lui ce lo diceva un po’ per spaventarci... Fatto sta che da piccini, ogni volta che si scendeva all’Ingolla, si parlava di questa leggenda, facendo sempre attenzione e guardando verso la Crevole e mai in giù, dove la potenza dell’acqua sembrava, in autunno e inverno, davvero troppo intensa per bambini di otto, nove anni. E poi si dice i pericoli: quello sì che era un posto pericoloso, ma ai primi anni Settanta non c’era questa storia del “fare attenzione” a tutto, e si girovagava giorni interi tra campi di grano sotto un sole cocente dove le vipere erano in agguato e muri a strapiombo sulla cascata, eppure si sapeva badare a noi stessi. L’Ingolla era una nostra meta estiva; tra l’erba e le foglie secche del viottolo, avevamo scoperto una ‘rapazzola’ e l’avevamo colonizzata. Eravamo sette, otto bambini a Lupompesi e ci si giocava per ore. A volte noi cittine ci andavamo a raccontarci qualche segreto, e di certo i bambini facevano lo stesso, nelle lunghe giornate d’agosto, quando non c’era tanto da fare in paese, tranne stare seduti sul murello di piazza. A volte i babbi ci andavano a pescare, all’Ingolla, e li seguivamo quasi sempre, anche se di pesci ce n’erano pochi. Ma poteva accadere di scorgere qualche girino nero e veloce, un granchio indolente arrampicarsi sulle rocce calde di sole, qualche pesciolino argentato che sgusciava da sotto uno scoglio. Ci sentivamo quasi avventurosi, in quelle giornate a pesca, e la cosa più forte era che casa nostra era a cinque minuti da lì, così, se ci sbucciavamo un ginocchio, bastava rifare la salita ed eravamo di nuovo al sicuro.  Poi, qualche anno dopo, ricordo che io, con un’amica calabrese, ci mettevamo il costume a volte per scendere poi, asciugamano e tutto, verso la spiaggetta di sassi e sabbia presso il tombolo della cascata. Ci facevamo anche il bagno: da qualche parte devo avere delle foto di noi in costume tigrato dentro l’acqua tiepida di luglio. Bisognava fare attenzione a non scivolare sui sassi coperti di muschio mentre attraversavamo per scendere giù. Su quei sassi e in quei piccoli luoghi segreti, poi, tornavamo in autunno a cogliere ciclamini e pervinche, e in primavera le primule di un giallo tenerissimo. Ci andiamo anche ora, all’Ingolla; l’hanno scoperta i bambini della Lupompesi di oggi, che sembrano amarla quanto noi: qualche settimana fa ci abbiamo visto un granchio arancione scuro, proprio vicino alla riva della Crevole, prima della cascata. Ottimo segno: l’acqua per ora dev’essere pulita. Sono convinta che il fascino sognante dell’Ingolla non si insegna e nemmeno si racconta: si trasmette nel patrimonio genetico. O almeno così ci piace pensare ogni volta che ci avventuriamo di nuovo sul viottolo impervio e luccicante di sassolini dai mille colori, osservando il gorgoglìo dell’acqua giù in mezzo all’intrico delle frasche.









La "cascata dell'Ingolla" a Lupompesi, in un disegno di Luciano Scali
La cascata dell'Ingolla a Lupompesi - disegno di Luciano Scali
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