MurloCultura 2014 - Nr. 1

Matteo di Giovanni: note di una strage

di Federica Fiscaletti

 

Continua la rassegna sulle raffigurazioni del pavimento del Duomo di Siena

 


"Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.”

(Matteo 2,16-18)

 

L’episodio della Strage degli Innocenti viene descritto soltanto da uno dei quattro evangelisti. Il sovrano Erode cercava di liberarsi del famigerato nuovo Re che poteva rivelarsi, per lui che non ne capiva il significato, un possibile usurpatore del trono. Nel frattempo Maria e Giuseppe venivano avvisati del pericolo e fuggivano il Egitto con il piccolo Gesù, mentre moltissimi “innocenti” venivano barbaramente uccisi.
La storia dell’arte è piena di rappresentazioni, pittoriche e scultoree, di questo episodio e a Siena non mancano gli esempi in epoche diverse. Nicola Pisano inseriva la scena nel pulpito della Cattedrale nel 1268; nella cripta sotto lo stesso Duomo i pittori pre-ducceschi, attivi intorno al 1270, avevano rappresentato l’episodio nel ciclo di affreschi del Nuovo Testamento; anche Duccio di Buoninsegna rappresenta la strage nella sua Maestà del 1311. Ma a Siena ci sono tre opere con questo soggetto realizzate dal medesimo artista, il quale ne realizzò anche una quarta conservata al Museo di Capodimonte a Napoli. E’ interessante metterle a confronto.
Matteo di Giovanni, questo il suo nome, era originario di San Sepolcro. Nato nel 1430, ricevette a Siena la sua prima educazione “pittorica” e qui si evolse la sua prolifica carriera. Pio II, tanto per citare un illustre esempio, chiese proprio a lui di dipingere ben due tavole per il Duomo di Pienza. Quando nel 1468 gli venne commissionato il primo dipinto della Strage degli Innocenti, l’artista poteva certo contare su numerosi esempi dello stesso tema trattato in precedenza a Siena, ma in queste opere non si riscontrava un grande varietà di movimenti, gestualità, ed espressione dei sentimenti. Uno degli aspetti principali di questo soggetto iconografico risiede indiscutibilmente nella forte drammaticità dell’episodio descritto che, fin da tempi più antichi, ha naturalmente visto al centro della scena le figure delle madri disperate e dei bambini morenti.
Il 1400 è stato un secolo in cui la devozione per i Martiri Bambini era particolarmente profonda, come testimonia la grande quantità di pale d’altare, affreschi, miniature rappresentanti il delitto di Erode. E’ questo il periodo in cui la Chiesa deve prendere atto della caduta di Costantinopoli in mano ai turchi ottomani (1453), e nell’ansia del momento si comincia a parlare di una possibile crociata per riconquistare la Terra Santa. La prima versione della strage di Matteo di Giovanni (fig.1) si inserisce in questo contesto storico e può essere considerato in un certo senso il “modello” a partire dal quale le opere successive saranno realizzate.

Fig. 1. La prima versione della Strage degli Innocenti di Matteo di Giovanni.

Erode è rappresentato sul trono, sulla destra, mentre ordina l’eccidio. E’ un re raffinato, elegantemente abbigliato e con la corona sul capo (anche un po’ troppo larga per lui) e se vogliamo un personaggio dall’aria quasi malinconica. Nella massa disordinata di soldati, armi, donne e corpi di bambini straziati, si nota che i piccoli vengono raffigurati con un’aureola sul capo. I colori sono brillanti e la scena è inserita in un contesto architettonico chiuso. Alcuni gruppi di figure, come quello sulla destra con la madre in ginocchio e il soldato o quello della donna che tenta la fuga, saranno riproposte anche nelle opere successive.
Il papa in persona, Pio II, arrivò a dichiarare che avrebbe egli stesso partecipato a una crociata contro il nemico musulmano, recandosi personalmente al porto di Ancona dove però sarebbe morto prima ancora di potersi imbarcare. La paura per gli infedeli si concretizzò terribilmente in Italia alcuni anni più tardi: nel 1480 una flotta musulmana assaliva la città pugliese di Otranto, saccheggiandola e massacrando parte della popolazione indifesa, messa al bivio tra la conversione all’islam e la morte. In tutta l’Italia fu molto forte l’impressione per questo evento e alcuni temi pittorici videro negli anni successivi una notevole ripresa. E’ il caso proprio della Strage di Matteo di Giovanni, nella versione in tarsia marmorea per il Duomo di Siena (fig. 2).

Fig. 2. La Strage nella versione in tarsia marmorea eseguita da Matteo di Giovanni per il duomo di Siena (1481).

Qui il sovrano si trova sull’estrema sinistra, sul suo trono marmoreo, e con il braccio teso ordina la strage. Sul suo capo troviamo ora uno strano cappello con la corona, qualcosa che richiama lo stile orientale... sorprendente la resa prospettica dei corpi dei bambini senza vita e lo sfondo architettonico in perfetto stile rinascimentale, dove vuoti, pieni e ombre vengono resi con sapiente uso dei marmi. Queste tarsie della Cattedrale di Siena, datate 1481, contengono sicuramente allusioni, riferimenti, più o meno diretti, ai fatti di Otranto. L’opera fu commissionata da Alberto Aringhieri, attivissimo operaio del Duomo, e Matteo di Giovanni eseguì personalmente i cartoni.
Subito dopo questa realizzazione l’artista si trova a ridipingere il medesimo episodio nel 1482 (fig. 3) per un altare nella chiesa di Sant’Agostino a Siena (oggi il dipinto si trova al Santa Maria della Scala).

Fig. 3. La Strage nella versione pittorea eseguita da Matteo di Giovanni per il la chiesa di S. Agostino (1482).

Compaiono nuovamente le aureole raggiate, a sottolineare la santità e innocenza delle giovani vittime. Ma qui soldati inferociti sembrano sfogare le loro ire contro i piccoli corpi che le madri disperate cercano invano di difendere. Come pure nelle altre opere descritte, compaiono personaggi che guardano la scena, con espressioni incuriosite e sguardi sgomenti; la loro presenza e significato sono ancora da chiarire fino in fondo. In effetti in questa edizione del soggetto della strage, l’orrore sembra protagonista. Se ci soffermiamo sui molti dettagli della scena, le grida della tragedia che va consumandosi ci assalgono: corpicini straziati, uomini feroci, donne inutilmente in cerca di una via di fuga per salvare la vita dei loro figli. Nel rappresentare tutto questo l’artista evolve e si evolve: se nel primo dipinto di Napoli sono state notate delle incertezze nella resa prospettica di architetture e dei corpi di alcuni dei “morticini”, queste sono decisamente molto meglio risolte nell’edizione per Sant’Agostino. In quest’ultima versione molto forte è l’accento sul groviglio di personaggi, la varietà delle espressioni di aggressività dei soldati e di estremo, insopportabile dolore (che in alcuni casi finisce anche in svenimento di una delle madri distinguibile nella folla) e la resa realistica dei corpicini. Questo sovrano che Matteo di Giovanni dipinge nel 1482 è più marcatamente delineato come un cattivo, il suo volto spigoloso è malvagio e il suo abbigliamento è decisamente quello di un sultano. Il suo incarnato, come quello dei soldati, è olivastro e molti indossano turbanti o copricapi simili. I fatti di Otranto sono trascorsi e hanno lasciato un segno profondo sull’artista e i suoi committenti.
Nella Basilica dei Servi, sempre a Siena, troviamo ancora oggi l’ultima Strage degli Innocenti dipinta da questo artista (fig. 4). Commissionatagli dalla famiglia mercantile degli Spannocchi nel 1491, il dipinto era destinato fin dall’inizio alla cappella dedicata ai Santi Innocenti.

Fig. 4. L’ultima raffigurazione della Strage degli Innocenti, eseguita da Matteo di Giovanni per la famiglia Spannocchi (1482).

Dal punto di vista della composizione del quadro si nota immediatamente che il sovrano viene rappresentato al centro e non più di lato; guardando il dipinto Erode si trova proprio di fronte allo spettatore, il quale non può non accorgersi immediatamente che il suo aspetto non è più quello diabolico delle opere precedenti. I lineamenti del suo volto, come quelli delle figure di soldati, sono meno marcati, meno tendenti a esprimere la cattiveria dei gesti compiuti. Non mancano figure che assistono alla scena, decorazioni all’antica, il contesto architettonico e le piccole aureole raggiate dei bambini. Ma l’insieme è più pacato, i toni di ferocia sono stemperati. Persino colui che ordina la strage sembra poco interessato a quel che accade davanti al suo trono e conversa, sguardo altrove, quasi indifferente agli eventi. Molta attenzione viene qui dedicata ai dettagli, dai tessuti alle decorazioni, e vengono inseriti due elementi nuovi rispetto alle precedenti versioni. Sulla sinistra, in primo piano, la madre con due figli che, dramma nel dramma, deve scegliere quale dei due dare alla morte per primo; nel centro, la madre che allatta, riferimento alla metafora del latte che tinge la terra di bianco (non di rosso del sangue dei bambini ma del bianco del latte versato inutilmente). Due soggetti che fanno riferimento a fonti letterarie precise e che verosimilmente sarebbero stati richiesti dal committente.
Leggere e scrivere di questo soggetto iconografico mette inquietudine, provoca un senso di disagio. Ma osservando questa ultima versione di Matteo di Giovanni, un dettaglio genera in me un certo sollievo: sulla destra del dipinto una madre si difende “fisicamente” dall’aggressione del soldato, reagisce con le proprie forze. Mentre lui afferra il polso del suo piccolo, lei, si feroce e aggressiva perché in lotta per salvare il suo bene più prezioso, lo raggiunge al volto e sembra volerlo graffiare, accecare, con un gesto al quale partecipa anche con l’espressione rabbiosa del volto. Il bambino che stringe con l’altro braccio è ancora vivo, illeso, salvo… forse la lama di quell’ennesima spada non riuscirà a raggiungerlo.

 

 

 

Testi consultati

Matteo di Giovanni. Cronaca di una strage dipinta, Catalogo, Ali Edizioni 2006.

Painting of Late Medieval and Renaissance Siena, Diana Norman, Yale Univ. Press New Haven and London, 2009.

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