MurloCultura 2014 - Nr. 3

I dolci del Vannini

di Luciano Scali

MESTIERI DI UNA VOLTA

L'aver conosciuto il Vannini, più di mezzo secolo fa, ha voluto dire la scoperta di un mondo di cui non avevo la minima idea ma del quale m’è rimasta una traccia indelebile nella memoria. E’ il ricordo di un qualcosa che non esiste più, spazzato via dalla modernità galoppante assieme a tutti i suoi protagonisti che, al pari di altrettante vestali, ne custodivano i segreti. Si trattava di applicare tecniche semplici, basate soprattutto sull’osservazione e l’esperienza e per questo difficili da scoprire perché, osservandole bene, sembravano fatte di niente. I miei sono solo ricordi ma anche testimonianze ancora vive sul modo di fare le cose servendosi in prevalenza delle mani e dell’ingegno col solo ausilio di attrezzature elementari che in epoca moderna hanno dato lo spunto per produzioni di grandi quantità con macchine appropriate ma a discapito di quelle caratteristiche che conferivano loro profumi e sapori andati ormai perduti. Molte di quelle cose avevano un che di magico alle quali solo adesso riesco a dare una definizione appagante: “il mestiere” ovvero quel qualcosa che si riusciva ad acquisire solo con la pratica, l’osservazione e la costante applicazione. Niente di più, o forse con l’aggiunta di un altro ingrediente essenziale costituito dall’inventiva e dalla volontà di sopravvivere, cosa innata che ho potuto riscontrare con grande piacere nelle creazioni che la nostra Barbarina continua a sfornare nella sua panetteria a Vescovado. E’ pur vero che si tratta di cose diverse dai miei tempi, più adatte alle esigenze contemporanee ma sempre ottenute seguendo quel fil rouge misterioso di cui si è perduta la memoria, ma sempre ben saldo nel DNA degli eredi di veri professionisti del passato.
Dopo questo prologo, vorrei riallacciare il discorso lasciato in sospeso quando accennai alla cottura dello zucchero promettendo di raccontare in altra occasione del pittoresco metodo usato dal Vannini per fare i “duri” di cui il più famoso era quello di menta.

Duri di menta 01
Duri di menta 02
Duri di menta 03

L’attrezzatura essenziale era costituita da uno spesso piano di marmo bianco, da un gancio infisso sulla parete, da un paio di forbicione e… dalle mani. Lo zucchero veniva “cotto” sul fornello a carbone in un recipiente di rame non stagnato dal lungo manico assieme a un paio di cucchiai d’acqua. Con una mano si reggeva il manico mentre l’altra, munita di un cucchiaio di legno, ruzzolava o rimestava lo zucchero che al calore cominciava a cambiare aspetto divenendo dapprima bianco con tendenza a “appallottolarsi” (glassa) e diventando poi filante. L’occhio allenato dalla pratica coglieva l’attimo in cui il contenuto doveva versarsi sul piano di marmo per proseguire poi meccanicamente senza più apporto di calore. Adesso ogni operazione era affidata alle sapienti mani del confettiere che dopo essersele bagnate d’acqua, affrontava il forte calore dell’impasto per formare un lungo sfilatino di zucchero di tre o quattro centimetri di diametro non prima però di avervi aggiunta un po’ di essenza per insaporirlo in vari gusti. A questo punto, tenutolo per le estremità, veniva agganciato al supporto sulla parete e quindi tirato e riagganciato più volte sfibrandolo e riavvolgendolo su se stesso. Con tale operazione il prodotto diveniva filante e malleabile iniziando a indurirsi e perdendo calore. Entravano allora in ballo le grosse forbici per tagliare il fuso di zucchero in tanti “gnocchi” le cui dimensioni non superavano i quattro centimetri, ovvero la giusta misura per poterselo infilare e rigirare in bocca. Una vera delizia ed una delle tante leccornie semplici di cui ricordo ancora il profumo e il sapore.
“Va bene”… dirà qualcuno… “tutto qui?” E vi pare poco? Purtroppo abbiamo fatto l’abitudine a soffermarci all’aspetto delle cose invece di gustarne l’essenza e quindi a non riconoscerle più. Ciò però non toglie che alcune delle “diavolerie”, così come le chiamava il Vannini, non debbano apprezzarsi ancora, sempre che vi sia qualcuno capace di produrle così come lui le faceva.; e non solo i duri ma anche i boeri con il liquore all’interno, il torrone artigianale, il croccante e le uova di cioccolato con la sorpresa dentro. Tutte robe di cui potremo parlare in seguito se, come oggi, sarò dell’umore giusto per farlo.


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