MurloCultura 2016 - Nr. 5

Sassi bianchi, fornaci e una straordinaria realtà naturalistica

di Luciano Scali

I PERCORSI DELLA MEMORIA

Nel mio continuo tentativo di assecondare una "ossessiva mania", non mi sono mai tirato indietro di fronte alla possibilità di esplorare quei percorsi piuttosto frequentati un tempo ma di cui oggi se n'è perduto persino il ricordo. La consultazione del Catasto Leopoldino ha rinverdito la speranza di poterne ritrovare qualcuno e quando tale desiderio si è concretizzato ho avuta l'impressione d'aver varcata la soglia del tempo ed avere così la possibilità di potermi immergere in un passato puramente virtuale ma capace di suscitare emozioni mai provate prima. Nel percorrere il tracciato della vecchia carbonifera, fiore all'occhiello della nostra storia recente, all'osservatore attento non sfuggirà la presenza dei numerosi sentieri che si aprono ai suoi lati, ognuno dei quali, se esplorato con il giusto grado di curiosità e con un pizzico d'avventura, potrà riservare inattese sorprese. Fra i tanti ce n'è uno che dopo averlo ritrovato, grazie alla carta di cui sopra, ho iniziato a percorrere di frequente specie quando sento il bisogno di sfoltire il fardello di pensieri che si accumulano nella testa di chi vive da solo. Niente di più terapeutico di un viaggio nella macchia attraverso tracce appena visibili e difficili da riconoscere dato il rapido rinnovarsi della vegetazione sul substrato fertile a copertura dei diaspri che, in vari colori e posture, caratterizzano la zona. Il sentiero, o meglio: la sua traccia, si inerpica sul fianco del poggio permettendo, di volta in volta, la vista di un paesaggio sempre più ampio col mutare di quota. Poi dopo aver attraversato tratti ove il percorso sembra confondersi nella verzura, si arriva ad uno spiazzo in mezzo a grosse querce costeggiato da un sentiero più ampio che serpeggia, con andamento meno accidentato, sulla collina. Si tratta di un antico percorso al quale di tanto in tanto fanno capo piccoli sentieri la cui vista infonde sicurezza al viaggiatore ancora preso dal dubbio iniziale d'aver perduta "la retta via". La vista dei colli circostanti che, simili ad isole, sembrano galleggiare sul verde del bosco, lo rassicura definitivamente tanto da indurlo ad osservare con maggiore attenzione quei dettagli caratteristici grazie ai quali sarà possibile ricordare con maggiore lucidità un percorso facilmente confondibile con altri similari. Proprio a certi dettagli specifici, e ad incontri occasionali anche se scollegati al luogo nel quale sono venuti a trovarsi, è possibile fissare nella mente il ricordo di quel tracciato quasi che in essi si trovasse la parola chiave per farlo rammentare con chiarezza. Ebbene, durante una delle mie abituali frequentazioni rinvenni al bordo del sentiero un piccolo specchio dalla forma ellissoidale appartenuto al retrovisore di un motorino e chissà come capitato in quel luogo. Lo raccolsi con l'intento di buttarlo nel primo cassonetto dei rifiuti incontrato per strada, ma rammentando che quasi al culmine del sentiero si trova una querce con un grosso incavo, mi affrettai a raggiungerla e a porlo al suo interno. Mi sembrò di tornare ragazzo, quando cercavo frammenti di specchio per realizzare laghetti in miniatura tra la borraccina del presepe prima di porvi le piccole oche di gesso comprate dalla "sora Valentina" al Ponte di Romana. Pensai d'aver trovato il luogo giusto per conservarlo senza disperderlo nel territorio e li lo lasciai. "Ogni volta che ripasserò di qui potrò vedere se sono pettinato o meno" mi dicevo. E con questa fissazione in testa, ogni volta mi assicuro che sia ancora laddove l'ho lasciato; ciò mi tranquillizza, quasi che la sua scomparsa snaturasse la caratteristica di un percorso che ai mie occhi, oggi, invece lo identifica. La strada che per altro tracciato conduce anche al Fondo Bello, si allaccia poi a quella di cresta per Monte Pertuso affiancata da una realtà geologica di grande effetto dovuta alla vista d'imponenti stratificazioni di diaspri in lenta disgregazione: il cosiddetto "Breccione". Volgendogli le spalle c'è una vista mozzafiato verso le valli del Crevole e dell'Ombrone sullo sfondo delle quali si stagliano il colle di Montalcino e quello più imponente dell'Amiata. Giunti alla biforcazione del sentiero, prendendo il lato a sinistra e sorpassata la perenne fangaia, il grande piazzale sul lato occidentale di poggio Giorgio pare quasi aprire le braccia a chi vi si affaccia per la prima volta, salvo accorgersi subito che non si tratta di un capriccio naturale bensì di uno dei tanti segni dell'uomo laddove questi aveva individuato una risorsa utile alla sua sopravvivenza. Una grandiosa cava a due livelli, con due piazzali di carico a quota diversa per alimentare due coppie di fornaci costruite in epoche successive. La più antica, in via di dissolvimento ubicata sottostrada, e l'altra più recente restaurata circa quattro lustri fa, da un trio di volenterosi uno dei quali vi aveva lavorato in età giovanile.

 

 
  A sinistra, l'affioramento di calcare balzano conosciuto come "I Sassi bianchi" e usato come cava per le locali cave di calce. A destra la "fornace del Massari", restaurata alcuni anni fa da due volenterosi cittadini.

 

Un territorio ed una strada piena di ricordi che, seppure non vissuti di persona ma uditi più volte dai ragazzi dell'epoca, richiamano alla mente la figura di un giovane prete diretto a Monte Pertuso. Si, proprio quella di don Mauro che inforcato il suo "Galletto" si soffermava a scambiare due parole coi fornaciai prima di andare a celebrare Messa nella chiesa di San Michele Arcangelo. Una strada ancora selciata, costruita al fine di arrivare alle cave di "calcare balzano" per ottenerne poi calce aerea di ottima qualità e decretando, nel contempo, l'abbandono della più antica via per Quato e Arniano, più disagevole e che, contrariamente alla nuova, aggirava Poggio Giorgio ad oriente anziché a calar di sole. Dopo essersi lasciati alle spalle questi monumenti discreti dedicati ad un'arte ormai scomparsa, nell'attraversare il campone accetinato, sempre rivolto a occidente, si ha l'impressione di camminare sulle nuvole seguendo il sentiero al culmine del poggio. Sul lato a monte le stratificazioni di breccia riportano il pensiero a quando la risacca di un mare primordiale, sgretolava la roccia circostante tramutandola in ciottoli col suo altalenante va e vieni. Un posto speciale, laddove agli inizi di maggio migliaia di orchidee trasformano quel luogo arido e selvaggio in un giardino magico che solo pochi privilegiati hanno la ventura di poter ammirare. Il sentiero corre ancora ai bordi di un bosco e di un fontone, dove in primavera galleggiano i fiori delle piante acquatiche che ne coprono la superficie. Giunti alla fine della ripida china e prima di inoltrarsi nel bosco, si costeggia una rigogliosa rarità naturalistica rappresentata da un leccio e da una querce secolari con i rami e tronco strettamente avviluppati tanto da richiamare alla mente l'immagine di due amanti vittime di un qualche sortilegio escogitato da un essere geloso della loro felicità. Tale sensazione si accentua durante il periodo invernale quando la querce, perdute le foglie, appare come esanime tra quelle sempreverdi del leccio. Immaginarvi una storia legata a questi mutevoli effetti è cosa facile, specie con l'approssimarsi della primavera quando il verde delle nuove foglie riveste la querce spoglia come un essere che, per qualche incanto, fosse ritornato a nuova vita. Un'impressione romantica, è vero, ma è forse possibile imbrigliare l'immaginazione di fronte a situazioni non comuni ma che appaiono banali a chi, non avendole vissute nell'atmosfera del momento, se le sentono solo raccontare? La strada si addentra di nuovo nel bosco in ripida discesa conservando ancora oggi il nome che la identificava in passato: "Via dei Termini" ovvero il tracciato sul quale facevano capo le proprietà boschive adiacenti tra banchi di roccia calcarea bianca ed una miriade di piccole fornaci a buca disperse nella zona. Tra di queste se ne trova una, o meglio se ne immagina l'esistenza al momento in cui ci si imbatte in una cava dal particolare aspetto a metà sentiero. Infatti a una trentina di metri più in basso una buca ormai quasi del tutto riempita di rami e foglie indica l'antica fornace artigianale dei "Sassi Bianchi". Qualche metro più in basso, il calcare che si sovrapponeva ai diaspri scompare soppiantato da questa roccia che in vari strati diversamente disposti caratterizzerà il sentiero fino al torrente Crevole, costituendone poi per un lungo tratto gli argini e l'alveo. Cosa aggiungere ancora ad un tragitto come quello descritto se non esortare qualche interessato a percorrerlo con l'intento di scoprirne i segreti e il fascino? Ognuno di noi ha un rapporto diverso nell'approccio con la natura e quanto questa è capace di suscitare in alcuni può lasciare indifferenti altri che invece considereranno il viaggio come una inutile fatica. Niente di male in tutto questo ma per accertarsi se quanto sopra risponde a verità basta solo provare per ritrovarsi dopo a parlarne con giusta cognizione di causa.

 

Il leccio e la querce abbracciati nel campone sopra i Sassi Bianchi, nelle quattro stagioni
(dall'alto, primavera, estate, autunno e inverno).
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