MurloCultura 2018 - Nr. 3-4

L’angelo di Quinciano è volato via

di Luciano Scali

RACCONTI

C'era una volta un angelo là sopra l'ingresso della cappella ottagonale a Quinciano, lo ricordo bene, poi all'improvviso scomparve. "Sarà volato via!" disse qualcuno, "ma prima o poi ritornerà di certo". E invece no; son passati gli anni e il pronao è ancora privo del suo angelo. La prima volta che sentii parlare di Quinciano avevo di poco superata la trentina e dopo aver praticati più mestieri stavo sperimentandone un altro ancora inedito: quello della fabbricazione dei dolci tipici senesi. Alla vasta gamma dei prodotti già in fabbricazione, pensammo bene di aggiungerne altri per ampliarla. Decidemmo alla svelta sui nuovi tipi da fare e subito dopo ci attivammo per reperire in loco la materia prima occorrente a fabbricarli. Il miele era una di queste e per procurarcelo, non esitammo a contattare un nostro simpatico cliente che in qualità di "treccolone" era l'elemento più adatto per indicarci come fare. Si chiamava "Schioppo" e la parola era di per se stessa tutto un programma. Un essere asciutto, lungo e dinoccolato e dai grossi scarponi, un tipo un po' alla Lil Abner, nel fumetto di All Capp. In estate la domenica mattina telefonava in ditta per informarsi se c'era "il diaccio asciutto" ovvero quel prodotto fatto di anidride carbonica solidificata, che posto in tocchi nella cassetta termica riusciva a mantenere i gelati da passeggio per più ore. Questo gli consentiva di andare nei campi di calcio dei paesini attorno Siena a vendere il gelato durante la partita. A chi gli domandava quale fosse il suo mestiere rispondeva: "Compro, baratto e vendo!" e con queste quattro parole riusciva a dire tutto. Fu lui che mi portò a Quinciano e fu proprio li che riuscii a vedere la cappella Nerli per la prima volta. Si poteva scorgere da lontano quella costruzione ottagonale che richiamava alla mia memoria l'antica Torre dei Venti di Atene, laddove, nell'elencare e raffigurare tutti i venti, veniva conservato al suo interno un favoloso orologio ad acqua, autentica mirabilia per quel tempo. Come già accennato, sopra all'atrio coperto annesso alla facciata, la figura di un angelo volgeva lo sguardo verso quello che sarebbe dovuto divenire un palazzo favoloso, iniziato a suo tempo e mai portato a compimento. Strano a dirsi ma questa imponente costruzione poneva di fatto in disparte oscurandone il ricordo, la pieve di S. Albano, posta sul retro del poggio, ai margini dell'antica via di cresta diretta verso Cuna. Quando mi stabilii definitivamente a Murlo la vista del borgo di Quinciano divenne consuetudine quotidiana e segnò nel mio ricordo gli attimi di un primo traumatico distacco da una persona speciale, impossibile da dimenticare. Per lunghi anni la vista di quel luogo mi apparve mattina e sera, sotto i molteplici aspetti che il trascorrere delle stagioni conferivano al paesaggio e l'angelo era sempre là, arrossato dai raggi del calar del sole o luminoso e quasi fosforescente nei pleniluni estivi. Poi un giorno, con la sua improvvisa scomparsa, ebbe inizio una storia forse mai accaduta ma che prese corpo, evolvendosi all'interno della mia mente.
Dov'era finito l'angelo? Se n'era forse volato via così com'ebbe a scrivere una ragazza nel nostro periodico a proposito della cappella di Quinciano? [1]

 

Cappella Nerli a Quinciano Cappella Nerli a Quinciano
A sinistra, la statua dell'angelo sul porticato della cappella Nerli (1861-1862), dove rimase fino a qualche anno fa (foto tratta dalla pubblicazione Monteroni Arte Storia e Territorio, 1990); a destra un'immagine recente della cappella, senza l'angelo.

 

Chissà, ma nel mio immaginario la domanda si riproponeva ogni qualvolta mi trovavo a transitarvi davanti, ed ogni volta dovevo ammettere di non avere una risposta che potesse soddisfare quella che da pura curiosità era divenuta ossessione.
L'angelo che decide di volar via per tornarsene da dove era venuto allorché si accorge che la sua epoca è finita da un pezzo, a partire dal dissolversi di un sogno incompiuto quando pareva avviato a divenire straordinaria realtà ma che era svanito così, come di solito fanno i sogni, al primo apparire dell'alba. Perché attendere così tanto allora? Forse queste creature divine nel restare troppo a lungo vicino agli umani ne avevano assimilato gli istinti tanto da comportarsi come tali e legati intimamente a quei luoghi dove avevano soggiornato? Per un po' ci rimuginai su facendo le più azzardate ipotesi per darmi una spiegazione convincente anche se sapevo di non riuscirvi. Col trascorrere del tempo me ne feci una ragione e lasciai cadere la cosa.
Però le illusioni non scompaiono come se nulla fosse accaduto e nemmeno il ricordo anche se sono divenute astratte e prive di consistenza. Quando uno meno se lo aspetta possono riapparire, riproponendosi di nuovo ma sotto una forma completamente diversa.
"Dove vai piccolo angelo a quest'ora? La notte è ormai prossima e il vestito che indossi non è proprio il massimo per questa stagione anche se il mantello ti darà un po' di tepore."
"Dovrei tornare a casa, ma non son sicuro di poterla riconoscere. Troppo tempo è passato e coloro che dovevano completarla ormai non ci sono più."
"La tua casa sulla collina?"
"E quale se no? Solo quella conosco, dove per tanto tempo son restato fuori a farle la guardia."
Non riuscivo a capire né a capacitarmi su quanto stava dicendo poiché a mia memoria la quasi totalità del borgo era stata abbandonata ed anche il palazzo mai finito aveva perdute le poche persone che per un certo periodo lo avevano abitato mantenendo viva l'impressione che qualcuno, un giorno potesse farlo finalmente rivivere.
Tornai a casa e dopo essere riuscito a mettere assieme una seppur parvenza di cena me ne andai a letto deciso a recuperare, con una lunga dormita, tutte quelle energie spese durante l'intera giornata.
Faceva caldo e forse lasciando la finestra aperta avrei avuto un po' di refrigerio capace di mitigare una parte del calore accumulato durante il giorno. Il sonno è arrivato quasi subito, cosa oltremodo strana specie quando, stanchi più del normale, si fa fatica a scrollarsi quel surplus di malessere di dosso. Dovevano essere da poco passate le due quando un insolito albore, attraversandomi le palpebre, m'ha svegliato, e subito m'è parso di sognare nel vedere quella figura bianca assisa sulla sedia accanto alla finestra. Il chiarore della luna levatasi da poco la illuminava in pieno facendo apparire fluorescente il suo profilo nettamente scolpito dal contrasto con l'ombra che lo contornava. Guardava fuori; il gomito appoggiato al bracciolo della poltrona e la mano a sorreggere il mento, sembrava assorta a mirare qualcosa oltre il profilo della collina di fronte.
"Chi sei" le ho detto, "e come sei entrata qui?"
La figura si è scossa al suono della voce e subito ho avuta l'impressione che qualcosa si muovesse dietro di lei, come se qualcuno vi si fosse nascosto. Mi sono messo a sedere di scatto sul letto, completamente sveglio e proprio a quel punto ho visto che quella figura aveva le ali, sì proprio le ali, come un angelo.
"Sei tu allora, e cosa ci fai qui? Non dirmi che sei venuto a portarmi via!"
Sorrise dicendo: "No, no! Non è ancora giunto il tuo tempo, ma se sono qui è perché ho sentito il tuo richiamo; i pensieri sono come i miei fratelli, volano lontano ed entrano dappertutto scovando le persone dovunque esse si trovino e così: Eccomi qua!"
"Ma non te n'eri volato via da tanto tempo ormai? Sono anni che non ti vedo più."
"Forse perché non hai guardato bene oppure non hai saputo vedermi ma io non mi sono mai mosso di là."
"Ti stai forse burlando di me? Ho guardato bene il tuo posto, te l'assicuro e anche l'ultima volta che sono andato a trovare Antonello ho visto bene che tu non c'eri."
"Pensi forse ch'io possa mentire? La mia natura me lo impedisce e poi, perché dovrei farlo? Quando fu costruita quella cappella pensarono bene di mettere qualcuno di guardia che non venisse frastornato dalle cose del mondo e dai suoi costumi. E chi meglio di un angelo poteva farlo visto che il tempo non gli manca e che non può morire? Malgrado le apparenze io sono ancora là e vi resterò fintanto esisterà quella costruzione che tutti vedono."
"Scusa sai se continuo a dubitare ma anche stamani son passato di lì e non t'ho visto."
"Guarda meglio la prossima volta e se hai tempo sali fino alla cappella e così, finalmente capirai."
Detto questo ha accennato un saluto ed è volato via. Nella stanza si è fatto subito buio come se anche il chiaro di luna se ne fosse andato con lui.
Il sonno stava riprendendo il sopravvento e prima di rinfilarmi sotto alle coperte ho chiusa la finestra, così senza pensarci o forse per timore che qualche altro essere alieno, magari meno gradito, intendesse farmi visita.
Mi sono alzato presto stamani stimolato da quel chiodo fisso infilatomi in testa dal visitatore notturno. In meno di dieci minuti ero a Quinciano. Il luogo appariva immutato, così come l'avevo visto l'ultima volta e guardando bene sopra il portico mi son reso conto che l'angelo non c'era. Ci son rimasto male, devo confessarlo; la visita notturna mi aveva convinto che qualcosa fosse veramente cambiata e, invece sembrava che si fosse trattato di quell'allucinazione che talvolta prende quando una cosa si desidera davvero tanto da costringerla a materializzarsi sotto i propri occhi. Ho girato lo sguardo attorno e ho visto la porta della cappella socchiusa. Sono entrato accorgendomi subito di quella cosa informe a terra illuminata dalla luce del mattino con attorno frammenti di pietra spezzata. Osservando meglio mi sono accorto che il tutto apparteneva a quello che rimaneva dell'abito dell'angelo di Quinciano.

 

L'angelo di Quinciano
 La statua all'interno della cappella.

 

Già, ma l'angelo dov'era? Ho guardato dappertutto prima di riuscire all'aperto anche perché m'era sembrato che dal di fuori qualcuno mi chiamasse. Attorno però non c'era anima viva. Il richiamo si è ripetuto ancora e veniva dall'alto. Mi è bastato alzare la testa per scorgerlo lassù nella sua postura di sempre, come se non si fosse mai mosso e, nell'osservarlo bene, sembrava che sorridesse.
A questo punto ho finalmente capito. Chissà per quale ragione quella figura che da oltre un secolo se ne stava dove l'autore l'aveva posta, era stata rimossa per essere poi custodita all'interno della cappella? Forse col passare del tempo si era degradata al punto da divenire un serio pericolo per la pubblica incolumità tanto da suggerirne la sua rimozione e lasciando lo spazio vuoto fintanto non ne fosse rifatta una copia per sostituirla?
Sì, forse era andata proprio così e quello che a prima vista poteva sembrare un mistero aveva la sua razionale spiegazione, ma secondo me invece, i misteri divenivano due ovvero: se all'interno della cappella c'era adesso solo la veste di pietra dell'angelo, lui dov'era andato a finire? Si era forse sfilato da quella veste terrena per tornarsene da dove era venuto oppure da solo spirito stesse ancora sul pronao laddove il suo artefice l'aveva posto e dove anch'io, rifiutando di accettare il suo distacco, continuavo ostinatamente a vederlo?


LS., 8 aprile 2016

Note

[1] L'Angelo di Quinciano è volato via, di Federica Fiscaletti, Murlo Cultura 1/2013.

Per ulteriori approfondimenti: Luigi Mussini e la sua scuola a Quinciano di G. Mazzoni in Monteroni Arte, storia, territorio, a cura di R. Guerrini, Siena 1990, Edizioni Alsaba, pp. 128-139 (disponibile anche alla Biblioteca Comunale).

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