MURLOCULTURA n. 1/2009

LA BEFA

Piccole note e un'antica ceramica murale


di Giorgio Botarelli

Associazione Culturale di Murlo
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Quivi, veramente, l’aria che vi si respira non è perfettissima e per tal cagione poca gente vi invecchia o lungamente vi campa...

Così, a metà Settecento, il vicario di Murlo Bernardo Giuseppe Pandini stigmatizzava la Villa della Befa, e poi, di seguito, come a sottolineare l’asprezza di un luogo tanto malsano, ricordava che lì sono relegati a confino i contumaci della Giurisdizione di Vescovado (1). Una ventina d’anni più tardi, anche il vicario Marcello Prosperini in una relazione sul Vescovado, accennava a Pompana e alla Befa come a Ville situate in aria insalubre, perché, esposte ai venti di scirocco e mezzogiorno solamente, gli scorre appresso il fiume Ombrone e sono circondate da fossi non perenni (2).

L’immagine piuttosto desolante della Befa resa dai due vicari, non doveva discostarsi molto da quella reale, se delle circa cinquecento persone che più anticamente vi abitavano, compresi Montepertuso, Pompana e dintorni, solamente poco sopra le centocinquanta se ne contavano all’epoca. Meno male che la zona un pregio ce l’aveva: era celebre pel suo vino, scriveva sempre il Pandini, così come quello della vicina Pompana era squisitissimo.

La Befa

Oggigiorno, di abitanti in loco se ne contano parecchi meno di allora, ma non per questo, quel minuscolo agglomerato di edifici si manifesta come riferito in passato dai vicari di Murlo. Appena vi si giunge, semmai, vuoi per la conformazione del villaggio e il suo aspetto, vuoi per la sua ubicazione, pare subito di percepire l’aura lenta e sonnacchiosa che immancabilmente pervade ogni remoto avamposto di frontiera…

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Targa La BefaSulla facciata del fabbricato ristrutturato che, passato il cimitero, si trova sulla destra, all’inizio di una delle due file parallele di vecchie case che compongono l’abitato, si può scorgere, murata nell’incavo di una finestrella cieca, un’antica targa smaltata, di modesta fattura, ma singolare per la composizione iconografica, palesemente correlata alla tradizione religiosa senese e ai suoi culti. La targa, di forma rettangolare, in terracotta a bassorilievo rivestita di maiolica policroma, raffigura in alto, il busto della Madonna di Provenzano su nubi profilate d’azzurro, dalle quali sbucano le faccine alate di due cherubini. Sotto, inginocchiati e rivolti verso la Madonna: a sinistra, San Bernardino da Siena, vestito del saio e cordone francescani, con in mano il sole raggiante contenente il monogramma del nome di Gesù (IHS), (nella targa si intravede un piccolo disco giallo); a destra, Santa Caterina da Siena con l’abito di terziaria domenicana ed in mano il Crocifisso. Le figure posano sopra un fondo di smalto biancastro, racchiuso da una semplice cornice a rilievo giallo-chiaro con tracce azzurrine.
Il culto senese per la Madonna di Provenzano, con la sua leggendaria origine, è cosa ben nota, che si tramanda sin dalla fine del Cinquecento. Così, la figura di San Bernardino è strettamente legata a Siena, città dove compì i primi studi e maturò quelle convinzioni religiose che lo portarono in seguito, a Siena stessa e nell’Italia del Quattrocento, ad una instancabile attività di predicatore (il suo monogramma si trova sopra le porte e sulle facciate di numerosi edifici in Siena). La devozione dei Senesi, poi, verso Santa Caterina, non
abbisogna di conferme ed è oltremodo attestata dalla vastissima iconografia della santa prodotta nella città in cui nacque e visse nel corso del XIV secolo. Si può dire, che in questo semplice oggetto “rinvenuto” alla Befa, sia raccolta l’essenza della religiosità senese, condensata nelle immagini di tre delle sue figure fra le più celebrate.
La targa si inserisce in quella vasta produzione di
mattonelle smaltate e dipinte, a soggetto sacro, che larghissima diffusione ebbero nel senese, in particolare nel corso del XVIII secolo; produzione da mettere in relazione con l’esistenza nel corso del tempo di numerose e più o meno famose manifatture ceramiche in questa area, come a Siena, ad Asciano, a San Quirico d’Orcia, a Montepulciano e in altri centri minori.
Le immagini sacre della targa devozionale in genere, non erano quasi mai creazione originale dell’artigiano, ma era prassi comune, nella bottega ceramica, ricopiare sui vari manufatti, scene e figure tratte da incisioni a stampa. La scelta cadeva, usualmente, sulle immagini delle devozioni locali, cosicché sulle targhe, mattonelle, placche o formelle del senese, possiamo vedere largamente rappresentati la Madonna di Provenzano, San Bernardino da Siena e Santa Caterina, talvolta riuniti insieme, spesso da soli (la Madonna di Provenzano frequentemente anche modellata a tutto tondo) e, più di rado, associati ad altre figure di santi.

L'inciosone del 1775 con la madonna di ProvenzanoNel nostro caso, la targa della Befa può ricondursi ad una piccola incisione contenuta in un libretto, stampato a Siena nel 1775 in occasione della celebrazione della Domenica in Albis di quell’anno, quando venne portata in processione per la città la Madonna di Provenzano (3). Nella formella è riprodotta esattamente la scena dell’incisione, ma sono tralasciati i particolari, come la mitra e il pastorale ai piedi di San Bernardino - a significare i tre vescovadi a lui offerti ma poi rifiutati - il giglio, la corona di spine e le stigmate di Santa Caterina - suoi usuali attributi - nonché il paesaggio, appena accennato, sullo sfondo. Queste volute omissioni nella trascrizione pittorica della targa, così come la sua esecuzione a calco, si conciliavano allora, con l’esigenza di realizzare, velocemente ed in quantità, un prodotto popolare, a costo contenuto e di notevole smercio sia in città che nei paesi del contado. Un prodotto da vendere, oltre che nelle botteghe, soprattutto nei mercati, destinato ad una clientela di estrazione sociale certo non elevata, ma sicuramente devota e comunque dotata di una seppur minima disponibilità economica, fatta di artigiani, di piccoli commercianti, di operai e contadini, di modesti proprietari terrieri, di semplici prelati o curati di campagna e così via. Uno di loro doveva essere il proprietario di quella casa, situata all’ingresso della Befa, sulla cui facciata murò la targa, a cavallo tra Sette e Ottocento, intervallo di tempo al quale si può ascrivere la sua produzione, come suggerito sia dall’incisione, sia dalla fattura, sia dalla comparazione con oggetti analoghi datati.  Venne acquistata, probabilmente, in una bottega di vasai o in un mercato a Siena oppure in quello più vicino della piazza dell’Antica o di Buonconvento, dato che il mercato che si teneva anticamente alla Befa era stato ormai soppresso.
Dal Catasto Leopoldino del 1821, si rileva che l’edificio su cui è presente la targa, è all’epoca adibito ad abitazione - fra l’altro, la più grande delle otto che compongono il borgo - ed è proprietà dei Batignani (4). Questi posseggono anche un’altra casa alla Befa e terre vitate ed altre ad uso lavorativo o di pastura nei dintorni, sulle quali pagano le tasse sin dal 1791. Alla famiglia Batignani, che non risiedeva alla Befa ma affidava case e terre da lavorare a mezzadri o pigionali, appartenevano in quello scorcio di fine Settecento, don Bartolomeo e don Giuseppe, due sacerdoti, all’uno o all’altro
dei quali si può ipoteticamente attribuire la committenza della targa in questione (5).
Al di là della motivazione puramente devozionale che indusse ad apporre la targa su quella casa, si può rilevare, in generale, che la sua collocazione è tipica e legata a quella che era ritenuta la sua funzione preminente, cioè quella protettiva nei confronti del corrispondente spazio abitativo e soprattutto delle persone che lo occupavano. La devozione, quindi, verso l’immagine sacra della targa - che poteva talvolta trovarsi anche all’interno della casa, come sopra il focolare, nell’androne al piano terra o sul pianerottolo dopo la prima rampa di scale - garantiva la tutela di una qualche entità soprannaturale verso la famiglia
e la sua abitazione. Il fatto poi di trovarsi murata su una parete esterna e per di più dalla parte dell’unica strada del borgo, ne ampliava la dimensione strettamente privata, per ricomprenderla in una più ampia dal significato comunitativo, pubblico: la sua protezione andava così ad abbracciare chiunque transitasse lì davanti, magari fermandosi un attimo per una breve preghiera o anche solo per farsi il segno di croce. Una benedizione globale in sostanza, rivolta a tutti i componenti la piccola comunità che, per forza di cose, dovevano passarle davanti: chi per recarsi ai lavori agricoli, chi per andare nei mercati vicini a vendere o a comprare, chi per spostarsi verso i poderi limitrofi, chi per raggiungere per motivi vari Siena, Murlo, Monteroni o Buonconvento. Un manufatto semplice, dunque, ma con una storia dietro le spalle, che mette in evidenza - assieme a tutti gli altri che permangono sul territorio nonostante i lavori di riassetto urbano o i furti per alimentare il mercato antiquario - due particolari aspetti delle vicende locali: da un lato sono infatti espressione di un peculiare ramo dell’antica arte ceramica sviluppatasi nel comprensorio senese, mentre dall’altro rappresentano una delle più genuine manifestazioni della fede popolare nei tempi passati. Quanto basta per motivare l’obbligo, che ricade su noi posteri, al rispetto, alla tutela e alla conservazione di tali testimonianze.

Note

(1) Vedi: Una Signoria nella Toscana moderna. Il Vescovado di Murlo (Siena) nelle carte del secolo XVIII, di M.Filippone, G.B.Guasconi, S.Pucci, Siena 1999, p.121.

(2) Ibidem, p.306.

(3) Il libretto, stampato a Siena nel 1775 presso Vincenzo Pazzini Carli e figli, è intitolato: Ragguaglio della solenne processione fatta in Siena nella Domenica in Albis l’anno del Santo Giubileo MDCCLXXV… Questo fu edito in occasione della tradizionale cerimonia senese della Domenica in Albis di quell’anno, quando venne portata in processione ed esposta in Duomo la Madonna di Provenzano. Sotto l’incisione, eseguita da Agostino Costa, è riportata la scritta: Vero ritratto di Maria SS. che si venera in Siena nell’In.e Collegiata di Provenzano portata a processione la Domenica in Albis l’an. del Giubileo 1775 (A. Costa).

(4) Catasto Leopoldino, Comunità di Murlo, sezione I detta di Pompana, part.164.

(5) Don Giuseppe Batignani da Buonconvento era diventato parroco di S.Andrea ad Abbadia Ardenga (giuspatronato del Vescovo di Montalcino) il 18 marzo 1788. Aveva rinunziato il 28 febbraio 1798 ed era andato pievano a Buonconvento. Muore il 31 gennaio 1828.

 


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