MURLOCULTURA n. 1/2012

STORIA DI MURLO

L'Ospedale di San Leonardo nel Vescovado di Murlo

Un piccolo istituto benefico a Murlo nelle carte dei secoli XVII e XVIII

di Giorgio Botarelli

Terza parte


Associazione Culturale di Murlo
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Amministrazione dell’ospedale: le entrate

Ai santesi, abbiamo visto, spettava il compito di curare la modesta economia dell'ospedale: incamerare le entrate prima di tutto, e destinarle poi alle opere assistenziali che erano alla base dell'attività dell'istituto. Le risorse da spendere provenivano dalla gestione delle proprietà lasciate a suo tempo da benefattori per la creazione, appunto, di questo minuscolo ente: ne fanno menzione a metà Settecento, nelle rispettive relazioni sul Vescovado di Murlo, i vicari vescovili Bernardo Giuseppe Pandini e Marcello Prosperini, i quali, avendo avuto modo di esaminare nell'archivio di Murlo la contabilità sopravvissuta dell'ospedale, in particolare il Libro B, ricordano che le entrate dell'ospedale derivavano dall'affitto delle terre ricevute in donazione, dalla locazione delle altre stanze che facevano parte del fabbricato dove erano ubicate le due riservate al ricovero e, per un certo periodo, dall'affitto di un annesso adibito a fornace/vaseria (1).

La "fornace da vasa" di Tinoni - disegno di Luciano Scali

La "fornace da vasa" di Tinoni  (disegno di Luciano Scali).
A = camera di combustione
B = camera di cottura

All'epoca l'ospedale possedeva, anche se non sappiamo di preciso dove, due pezzi di terra lavorativa, vitata, arborata e boschiva, uno di stara 1 e ½ incirca e l'altro di stara 30 incirca, più un altro pezzo di 4 stara incirca non ben definito. In passato, dice il Pandini, tali terre venivano date in affitto ogni tre anni tramite pubblico bando; poi nel 1631 furono concesse a linea a Silvio Angelini, mercante senese (2). Terminata la linea con Cinzia Angelini, moglie di ser Niccolò Magnoni, gli stessi beni furono a lui conceduti nella medesima forma dall'arcivescovo Marsili il 31 ottobre 1689, con il canone annuo di 40 lire e 10 soldi. Nel 1635 il pezzo di 4 stara è allineato a Giovanbattista Bellacchi con il canone di 2 lire e 10 soldi. Dai due fascicoli di contabilità del 1783/84 che abbiamo citato nella prima parte (3), risulta che in quegli anni la famiglia Magnoni paga ancora il canone con Ferdinando e la famiglia Bellacchi con Baldassarre.
Un’altra entrata era rappresentata dall’affitto alla Comunità di Murlo di una delle stanze che facevano parte dell’immobile posseduto dall’ospedale. La Comunità la utilizzava per l’esercizio di oliviera, che appaltava annualmente al miglior offerente tramite asta pubblica, ricavandone così un utile (4). Per questa concessione, in base alle Capitolazioni dell’Oliviera del 1593, ricorda il vicario Prosperini, la Comunità di Murlo avrebbe dovuto pagare all'ospedale il corrispettivo di un mezzo stajo d'olio all'anno. A metà Settecento, annota il Pandini che, invece, per molti anni la Comunità non ha pagato nulla e che all'epoca è debitrice di circa 50 staja di olio, e anzi, una volta, che pretese non dover pagare, fu condannata a pagare, non solo l’annuale, ma l’arretrato ancora. Intorno al 1774, il vicario Prosperini conferma che la Comunità deve all’istituto circa 62 staja di olio, come risulterebbe dal Libro C del 1695 (oggi perduto), risultando morosa da ben 124 anni, quindi da metà Seicento. In effetti, sino ad allora, doveva aver più o meno regolato il debito: nel Libro B di contabilità dell'ospedale, il 12 marzo 1645 è registrata un'entrata di 18 lire, corrispondenti ad uno stajo di olio, proveniente dalla Comunità di Murlo per affitto di due anni dell'oliviera (5). Ricorda inoltre il Pandini, che nel medesimo affitto una volta era compresa anche la quota per la concessione di un'altra stanza che la Comunità adibiva a scuola (nel Settecento la scuola viene poi trasferita in una stanzetta sopra la sacrestia della chiesa dell'Antica).
Le altre stanze dell’immobile venivano locate invece ad uso abitativo, generalmente suddivise in due minimi appartamenti di due vani ciascuno. Come abbiamo già accennato nel numero precedente, erano affittati con la condizione che gli inquilini si occupassero della ricezione dei poveri che giungevano all’ospedale per avere accoglienza. Di seguito è riportato dal Libro B di contabilità il contratto di locazione, redatto il 19 novembre 1654, con il quale i santesi Bellacchi e Tognazzi affittano una casa a Giovanni Fabiani e sua moglie Rosada (6):

Iesus Maria, a dì 19 di 9bre 1654 in Vescovado
Giovanni di Pasquino di Fabiano e donna Rosada figlia del già Marcantonio Moscardini, moglie di detto Giovanni, e per loro promette Guasparre Machetti da Tinoni, come principale, principalmente et in solidum obbligato, devono dare a dì 19 di 9bre sopradetto, lire dodici di denari; li medesimi sono per la pigione di un anno della casa, cioè di due stanze dello Spedale di Tinoni poste sopra alli fondi di detto Spedale e l’orto del medesimo contiguo a dette stanze; cominciata la locazione il dì 25 di 8bre prossimo passato; da doverne pagare ogni mese la rata di detta pigione, che sono una lira il mese; e non piacendo a dette parti di continuare la detta locazione se ne deva fare la disdetta due mesi havanti finisca il detto anno e non facendosi la detta disdetta da una di dette parti, deva seguire un altro anno, e così di anno in anno sino a quando non sia fatta la sudetta disdetta; e li sopradetti Giovanni e Rosada sua moglie si obbligano in specie di ricevere li poveri che alla giornata verranno al detto Spedale e tenerne quel conto che si deve e conviene; e ogni volta che si darà il caso devino andare a ricevere lenzuola e altre cose necessarie che si devono per ricevere li sopradetti poveri, dalli Spedalieri di detto Spedale e delle medesime robbe tenerne conto ed ogni volta restituirle alli detti Spedalieri; e per osservanza di quanto sopra li detti Giovanni e Rosada principali ed il sopradetto Guasparre Machetti promessa, come principale et in solidum obbligato, obbligano loro stessi, loro beni, ed eredi, presenti e futuri, in forma ed in ogni modo migliore che obbligar si possa, renunziando ad ogni legge, statuto, privilegio e beneficio che in favor loro facesse, o far potesse; ed in fede dalli sopradetti sarà confermato di propria mano, sapendo scrivere, e non sapendo scrivere per loro sarà affermato da terze persone, obbligandoli a quanto sopra; dichiari come li presenti Santesi e Spedalieri sono Pietro di Agniolo Bellacchi e Giovanni di Alessandro Togniazzi.
Io Vincenzo Longhi a nome e per commessione del sopradetto Giovanni perché disse non sapere scrivere, affermo per lui quanto sopra alla sua presenzia. Io Stefano Ghidoli a nome e per comessione della sopradetta Rosada perché disse non saper scrivere, affermo per lei e l’obligo a quanto sopra.

Nel corso del Seicento, una delle due case viene successivamente affittata ai maestri vasai che hanno preso in gestione l’annessa fornace, rammentata anche dal vicario Pandini, il quale, nella sua memoria dedicata all’ospedale di Murlo, ricorda che accanto alle stanze, vi era un casalone, che una volta serviva ad uso di fornace da vasa, sempre proprietà dell’istituto. D’altra parte, nel Libro B è documentata, attraverso la registrazione di contratti di locazione a vasai, rispettivi pagamenti di affitti o restauri alle strutture e attrezzature della vaseria, l'attività, seppur saltuaria, di questa fornace durante il XVII secolo, attività che abbiamo avuto modo di approfondire nel primo quaderno edito dall'Associazione Culturale e a cui rimandiamo per notizie più complete (7).


I maestri vasai assicurati nel Vescovado

Un dato singolare, emerso di recente, va certamente annotato a proposito della fornace da vasa dell'ospedale, ricordando anzitutto che il Vescovado di Murlo, in quanto effettiva signoria dell'arcivescovo di Siena, dotata di una peculiare posizione di autonomia giuridico-amministrativa nell'ambito dello Stato senese, rappresentava una vera e propria zona franca, nella quale potevano trovare accoglienza, su concessione vescovile, personaggi che al di fuori di questa giurisdizione si erano macchiati di reati di vario genere, talora anche gravi, e che per tali motivi erano ricercati dalle milizie senesi e destinati ad essere condotti in carcere: questi rifugiati erano i cosiddetti assicurati nel Vescovado. Fra gli assicurati durante il XVII secolo (8), compaiono i nomi di alcuni vasai che troviamo al lavoro nella fornace dell'ospedale. Orazio Colonna e Gismondo Filugelli, maestri vasai di Asciano, prendono in affitto la fornace di Tinoni con annessa casa nel settembre 1667 (9): risultano poi ambedue assicurati nel Vescovado a causa di debiti contratti fuor di giurisdizione con decreto di monsignor Ascanio Piccolomini del 14 novembre 1667. Nel 1670 lasceranno anche il Vescovado da debitori. Domenico Agnolucci, maestro vasaio delle Serre, viene assicurato nel Vescovado il 30 luglio 1691: il primo di agosto comincia la conduzione della fornace di Tinoni (10), che però abbandonerà ben presto in quanto viene affittata dal primo settembre 1693 a Bernardino Brandini, vasaio di Asciano (11), anche lui assicurato per debiti il 21 agosto 1693. D’altra parte, si deve notare che Mariano Sticcoli, noto come primo vasaio a fine Seicento nella famosa manifattura ceramica della famiglia Chigi a San Quirico d’Orcia (12) e che lavorò in precedenza nella fornace dell’ospedale dal 1683 al 1689, non risulta al momento fra gli assicurati nel Vescovado, anche se la sua dipartita, sembra burrascosa, lascia intravedere qualche dissidio con i santesi, presumibilmente derivato da una sua condizione debitoria; status quest'ultimo, come appurato, non infrequente per i tempi e di norma regolato con la detenzione in carcere.
L’ospedale, dunque, interveniva nei confronti di tali persone, assolvendo così, anche in questi casi particolari, alla sua funzione di sostegno delle categorie bisognose della società e ricavandone nel contempo qualche ulteriore entrata: ai vasai assicurati per debiti offriva l'occasione di esercitare il proprio lavoro e forniva anche una casa per abitazione, cose che probabilmente non avrebbero ottenuto altrove. Anche tale maestro Giovanni Galluzzi delle Serre, assicurato nel Vescovado il 4 febbraio 1667, risulta residente a Tinoni in una casa dell'ospedale nel 1672 (13); non sappiamo se fosse un vasaio al lavoro nella fornace, ma era stato comunque accolto dall'ospedale. Qualche anno più tardi, però, non riuscirà ad evitare la prigione, dato che il febbraio 1677 è registrata nel Libro B una uscita di una lira e diciotto soldi per carità a Giovanni Galluzzi carcerato (14).

(continua)

Tornio a pedale - disegno di Luciano Scali

Note

(1) Bernardo Giuseppe Pandini, notaio senese, fu vicario vescovile a Murlo dal 1744 al 1750 mentre il notaio Marcello Prosperini di Pienza fu in carica dal 1759 al 1776. Per le loro memorie sull'ospedale di San Leonardo si veda: Una Signoria nella Toscana moderna. Il Vescovado di Murlo (Siena) nelle carte del secolo XVIII di M. Filippone, Giovanni B. Guasconi e S. Pucci, Siena 1999, pp. 53-56 e 293-294.

(2) La concessione a linea consisteva nel dare in uso, previo pagamento di un canone annuo, un bene che poteva passare poi agli eredi in linea diretta e talora anche indiretta. Quando la linea si interrompeva il bene ritornava al proprietario.

(3) I due registri contabili sono conservati in: Archivio Storico del Comune di Murlo (ACM), n.124.

(4) Per l'oliviera vedi: Una Signoria nella Toscana moderna cit., pp.79-80.

(5) ACM n.123, Libro B - Entrate e uscite dello Spedale di San Leonardo, c.6v.

(6) Vedi: Libro B cit., c.23r.

(7) Vedi: L’antica fornace “da vasa” a Tinoni nel Vescovado di Murlo di G. Botarelli, Associazione Culturale di Murlo, 2006.

(8) Per un elenco di assicurati nel Vescovado durante il Seicento: Archivio Arcivescovile di Siena (AAS) n.6523, Memorie riguardanti la libera giurisdizione dell’arcivescovo di Siena sul Vescovado di Murlo.

(9) Vedi: L’antica fornace “da vasa” a Tinoni cit., p.29-30.

(10) Vedi: L’antica fornace “da vasa” a Tinoni cit., p.34-35.

(11) Vedi: L’antica fornace “da vasa” a Tinoni cit., p.36-37.

(12) Vedi: Di Cafaggiolo e d’altre fabbriche di ceramiche in Toscana, di G. Milanesi e G. Guasti, Firenze 1902 (rist. anast. A. Forni edit.), p.356.

(13) AAS, Stati d’anime diocesani, n.2811.

(14) Vedi: Libro B cit., c.56r.



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