MURLOCULTURA n. 3/2011

Carrellata sui mestieri in mutazione

IL MURATORE

di Luciano Scali

23° puntata


Associazione Culturale di Murlo
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La grande innovazione nella costruzione di civili abitazioni avvenne quando si iniziò a dotarle di impianti che evitassero di recarsi all’aperto ogni qualvolta si doveva soddisfare particolari bisogni corporali. In epoca romana con l’espandersi dell’impero e con l’acquisizione di un certo benessere diffuso, furono apportate radicali innovazioni sui modi di vivere di alcuni ceti sociali più evoluti economicamente. Nelle città il ricorso alle fontane esterne per rifornirsi d’acqua, delle terme per i bagni e di latrine pubbliche venne progressivamente ridotto fino a poter disporre, come nel caso di Pompei, di veri e propri servizi direttamente in casa. I romani erano maestri in idraulica e campioni delle loro tubazioni in piombo sono ancora oggi visibili sul posto e nell’annesso museo. Di queste innovazioni potevano avvalersi alcuni, non la totalità della gente e pertanto ognuno di questi impianti aveva una propria storia. Se per la fornitura di acqua a domicilio era possibile contare su una rete idrica piuttosto evoluta, altrettanto non si può dire dei liquami provenienti dalle latrine. Per quest’ultime erano previsti veri e propri depositi che venivano saltuariamente svuotati e lavati da personale addetto. L’avvento di impianti adatti allo scopo arriverà in epoca piuttosto recente e, ancora oggi, molte costruzioni isolate si avvalgono di “pozzi neri” o di “fosse biologiche” a dispersione. Se nel passato il contenuto del pozzo nero, o del “bottino” era considerato una risorsa poiché impiegato in orticoltura o per arricchire il letame per concimare i campi, oggi tale impiego è stato soppiantato da altri tipi di fertilizzante ottenuti chimicamente, e quindi di più facile stoccaggio e conservazione. Tutto questo preambolo per sottolineare come la tecnica edilizia sia cambiata a causa delle esigenze e dei mutati costumi del vivere moderno e come ogni entità abitativa sia dotata di quei conforti ritenuti, un tempo, di lusso. Nelle costruzioni tradizionali ove l’impiego del cemento armato era inesistente o marginale, era buona norma ricorrere a particolari accorgimenti che tenessero conto del successivo inserimento di impianti per la fornitura e lo smaltimento delle acque. Oggi che le strutture in cemento armato e metalliche prevalgono nelle costruzioni, assecondando le norme di prevenzione antisismica, le medesime esigenze sono sentite in misura maggiore ma possono essere affrontate e risolte grazie a normative precise e unificate che le regolino in ogni dettaglio. I sistemi del passato invece dovevano fare conti con altre tecnologie e con carenze d’informazione suscettibili ad allungare indefinitamente i tempi di esecuzione. Gli ambienti destinati ai servizi igienici si trovavano, di norma, all’interno di ogni appartamento, dico di norma perché esistevano fino a poco tempo fa anche le cosiddette “case di ringhiera” ove “tale comodità” era condivisa tra più famiglie e, appunto situata nei pressi di una lunga e stretta “terrazza munita di ringhiera” che ne consentiva l’agevole accesso a tutti. Quando la moda del gabinetto in casa prese l’avvio furono affrontati vari problemi tra i quali la posa in opera di condutture idonee che convogliassero gli scarichi al pozzo nero o alla fossa biologica, oppure in seguito direttamente al collettore fognario.

Il MuratoreIl Muratore 

    Fig. 2 - Scarico esterno collegato al pozzo nero.                                Fig. 3 - Gabinetto pensile.

E’ oltremodo interessante osservare da vicino l’evoluzione di un gabinetto poderale che a partire dalla soluzione più semplice consistente nello svuotare il pitale direttamente in un tubo posto fuori di finestra e collegato al pozzo nero (Fig 2), all’altro “più sofisticato che consentiva di soddisfare i propri bisogni corporali in un ambiente pensile anch’esso collegato al pozzo di raccolta (Fig. 3).
Come si può osservare dai disegni tratti da una pubblicazione specializzata, i tubi erano costituiti da una serie di elementi tronco conici di terracotta smaltati internamente e inseriti gli uni negli altri fino a formare un tubo efficiente e della lunghezza voluta (Fig. 1).

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Fig. 1 - Tubo di scarico.

Ancora oggi, inserite nelle strutture di case antiche, è possibile osservare residui di simili condutture lasciate in loco e ormai inservibili. Proprio su tale argomento vorrei fermare l'attenzione per riflettere su quella che oggi è divenuta una normalità alla quale si è giunti attraverso tentativi e verifiche accompagnati da radicali cambiamenti nei metodi di costruzione. Allorché venne deciso d'inserire i servizi igienici all'interno delle abitazioni preesistenti che ne erano sprovviste, la prima soluzione adottata fu quella di lasciare in vista le tubazioni o, quanto meno di mascherarle con apposite schermature.

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Fig. 4 - Collocazione del tubo.

                                                                                                                                                Fig. 5 - Sezione del tubo di scarico.

Di solito i tubi di scarico di maggiore dimensione si tendeva a ubicarli negli angoli dove era più facile nasconderli con una paretina leggera “a tagliacanto” curando poi di mascherare i pezzi speciali a due o più vie costruendogli attorno opportune schermature (Fig. 5). Con l’affermazione delle nuove tecniche costruttive e la comparsa di materiali inediti sul mercato, anche la qualità del prodotto finito riguardo ai servizi, subì un forte incremento. A partire dalla fase progettuale venne stabilito che i piani esecutivi dell’opera predisponessero i “passaggi tecnici” entro i quali accogliere gli impianti all’interno delle strutture in modo che non comparissero in vista. Seguendo tale principio i tubi scomparivano, sia nelle apposite tracce predisposte nella muratura che nello spessore dei pavimenti. Innovazioni brillanti che si portavano appresso inconvenienti di varia natura da non sottovalutare in maniera assoluta. A tale proposito s’impone una breve considerazione. Nei fabbricati tradizionali dove la stabilità è garantita in massima parte dal peso proprio della muratura e dalle caratteristiche del legante, occorre tenere presente che l’intera costruzione è soggetta a fenomeni di assestamento i quali possono risultare più o meno evidenti attraverso lesioni visibili sulle strutture. La gravità delle lesioni sarà inversamente proporzionale all’accuratezza con la quale il lavoro è stato eseguito. Di solito anche se l’esecuzione sarà stata effettuata a regola d’arte, vi sarà sempre una variazione seppure minima nell’altezza dell’intero fabbricato dovuta all’effetto di schiacciamento al quale viene sottoposto il legante. Anche murature “al di la di ogni sospetto”, come la torre del Mangia a Siena, nella quale il laterizio e la pietra concia vennero impiegate con rara professionalità, sono evidenti sul paramento esterno le tracce di ripresa dei lavori dopo il ragionevole periodo di sospensione concesso alle strutture affinché potessero assestarsi. L’assistente di cantiere avrà tutto l’interesse a predisporre in costruzione gli spazi ove alloggiare i tubi anziché ricorrere a onerosi lavori aggiuntivi per crearli in seguito intervenendo sulle strutture finite. Ovviamente nel primo caso verranno prese tutte quelle precauzioni affinché non venga indebolita la stabilità delle strutture, cosa ben diversa da quella di dovere aprire in emergenza tracce su pareti già ultimate scollegandole. Il disegno allegato mostra la corretta soluzione da adottare (Fig.4). Un’altra considerazione da fare è la seguente: le tubazioni che verranno collocate all’interno delle tracce ricavate nella muratura non dovranno mai essere solidali con la stessa ma unite per mezzo di supporti che ne permettano una certa elasticità. Dovranno essere libere da quei movimenti che la muratura avrà nell’assestarsi, altrimenti l’effetto “schiacciamento” si ripercuoterà sui tubi il cui materiale incomprimibile verrà certamente lesionato compromettendone la tenuta. 

(Continua)


Le figure 2 e 3 sono tratte dal volume di Gigi Salvagnini Resedi rurali in Toscana, Salimbeni, Firenze 1980.




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