MURLOCULTURA n. 4/2008

Come in una foto possono condensarsi valori perduti, il senso della memoria e i segni dell’uomo

Obiettivo Murlo: un’opera di Nicola Zuncheddu


di Luciano Scali

Associazione Culturale di Murlo
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Ho visitato la mostra del concorso fotografico “Obiettivo Murlo” in anteprima osservandola nel ruolo privilegiato di membro della commissione incaricata di selezionare i lavori meritevoli di premio. Debbo confessare di essermi sentito a disagio in mezzo agli autorevoli professionisti che la costituivano poiché mi sono considerato da sempre un mediocre fotografo autodidatta. Dotato di questa limitata esperienza in campo fotografico, sono stato costretto a esaminare le opere esposte con occhio diverso da quello del professionista abituato a giudicare non solo il soggetto della foto, ma anche le tecniche impiegate per realizzarlo. Sono divenuto allora un visitatore come tanti altri, alla ricerca di quelle emozioni che una inquadratura felice è capace di poter dare, al fine di esprimere in seguito un parere che risultasse in sintonia con la mia sensibilità. Questa decisione, oltre a rendermi tranquillo, mi ha convinto che soltanto basandomi sul coinvolgimento emozionale delle opere esposte, potevo rendermi conto del vero livello qualitativo della mostra che altrimenti non sarei riuscito ad afferrare. Non voglio con questo ritenere che la tecnica fotografica debba essere subordinata all’immagine da illustrare, ma solo esprimere un concetto personale che mi trova più sensibile alla natura del soggetto che non al modo di riprodurlo. E’ chiaro che il rapporto fra le due cose resta ed è fondamentale, specie per una iniziativa come “Obiettivo Murlo”, però rimango della stessa idea poiché la sento più vicina alla mia natura. La foto di Nicola Zuncheddu mi ha “fatto tilt” per i segni dell’uomo nel contesto del paesaggio. Essi risaltano, non solo nella normalità delle tracce di un mezzo meccanico e nella drammaticità della rete e del filo spinato, ma soprattutto “nell’assenza-presenza del soggetto che dopo aver operato nel luogo, è scomparso come svanito nell’aria. Lo ha fatto così, come la cicala a fine estate, spogliandosi del guscio e lasciandolo appeso ad un palo per mostrarne le ferite a testimonianza di quanto accade in un “avamposto” ove le battaglie, di solito, risultano più cruente. Ho drammatizzato l’immagine nel guardarla facendo forse torto alla quiete che il paesaggio suggerisce, ma ho avuta l’impressione di vedere la vita dell’anonimo proprietario dell’abito andarsene con lui proprio attraverso quegli strappi. L’emozione è stata forte e ringrazio Nicola d’avermela fatta provare. Complimenti per la poesia dentro alle sue cose. Sono davvero contento che sia stato premiato.

"Avamposto" - Foto di Nicola Zuncheddu

"Avamposto" - Foto di Nicola Zuncheddu


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