MURLOCULTURA n. 4/2011

EVENTI NEL TERRITORIO

Convegno sul vitigno etrusco

di Maria Paola Angelini


Associazione Culturale di Murlo
Torna all'indice


Il 27 Agosto, in occasione della serata di chiusura della Settimana Etrusca, si è tenuto a Murlo il consueto Banchetto preceduto quest’anno da una interessante conferenza che ha approfondito temi collegati al simposio presso il popolo etrusco. Relatori della serata sono stati il professor Ciacci, archeologo dell’Università degli Studi di Siena, la dottoressa Cianferoni della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e il professor Formigli, noto e stimato archeologo. Presenti inoltre il direttore del museo dottor Cenni e, in rappresentanza del nostro comune, l’assessore Giuggioli. Andrea Ciacci ha esposto al pubblico i risultati di un particolare progetto di studio, concernente la coltivazione della vite e dell’olivo presso gli Etruschi, volto a poter rintracciare le prime coltivazioni, antenate delle attuali. Nel dettaglio la ricerca ha localizzato piante di vite in prossimità dei siti archeologici (per quanto riguarda Poggio Civitate ne sono state rinvenute due); tramite la mappatura genetica di quelle maschili (generalmente viti silvestri) si è poi potuto vedere come queste risultassero diverse dalle viti silvestri comuni. Ciò è possibile poiché le viti dei siti archeologici erano state manipolate in antico e hanno quindi una storia certamente diversa rispetto a quelle che noi conosciamo. Ma quale aspetto potevano avere queste coltivazioni? Per capirlo osserviamo attentamente dei reperti che sono stati rinvenuti in Etruria, falcetti simili ai nostri pennati, ma che molto probabilmente dovevano essere forniti di una lunga impugnatura che consentiva di arrivare in alto. Le viti si dovevano presentare dunque molto diverse dai filari che vediamo oggi nelle nostre campagne; esse avevano piuttosto una forma a metà tra un cespuglio ed un basso albero. Questi studi, oltre che essere molto innovativi ed interessanti, permettono di poter conoscere meglio e quindi valorizzare le varietà autoctone della vite dei nostri territori. È stato poi il turno della dottoressa Cianferoni che ha illustrato i cibi più comuni che potevano essere serviti nel banchetto. Poiché il simposio era un avvenimento che riguardava gli aristocratici, l’alimentazione di quell’occasione era sicuramente a base di carne, in particolare caprovini, suini e cacciagione, come già avveniva in Grecia. Come spesso accade, anche per questo argomento ci vengono in aiuto le pitture delle tombe, per esempio quelle del sepolcro Golini I di Orvieto, dove è raffigurata una dispensa con appese carni di manzo e cacciagione e una scena con i servi della famiglia aristocratica che fanno a pezzi della carne con una piccola mannaia. Ma come venivano preparati i piatti? Generalmente le forme di cottura erano la bollitura e l’arrostimento, prove ne sono i moltissimi utensili recuperati come spiedi, palette, tirabraci e alari simili a quelli ancora utilizzati oggi. Una curiosità è poi il fatto che gli Etruschi non mangiassero carni di bove, poiché utilizzato come animale da lavoro, ma non si facessero problemi ad allevare e cucinare il ghiro, considerato una ghiottoneria.
Gli aristocratici partecipanti al banchetto sfoggiavano gioielli preziosi realizzati con grande maestria, così come ci ha spiegato il professor Formigli, che ha evidenziato lo stretto rapporto tra le oreficerie orientali e quelle etrusche. Il perché di questa relazione è facilmente comprensibile se si pensa ai numerosi contatti che i commercianti di area orientale, in particolare provenienti dalla Siria, potevano avere con le popolazioni del bacino del Mediterraneo. La tecnica della granulazione con la quale venivano realizzati i gioielli più belli, infatti, era già praticata nella città siriana di Qatna, con risultati eccellenti. Gli Etruschi ripresero questa pratica, ma andarono ben oltre sperimentando una grana finissima, quasi a pulviscolo, che consentiva loro di ottenere pezzi unici come orecchini e fibule a sanguisuga di raro splendore. Ma non solo i gioielli rilucevano nei banchetti della nostra antica civiltà. Anche le patere, coppe per libagioni, potevano essere realizzate in un materiale prezioso come l’oro, elegantemente sbalzato e decorato. È questo l’esempio di una phiale conservata a Termini Imerese, particolarissima nel suo genere poiché presenta una ricca sbalzatura a fasce concentriche composte da ghiande e una serie di bellissime figure di api. La lettura della decorazione può essere fatta sia dall’interno che dall’esterno dell’oggetto e possiamo immaginare quale affascinante effetto dovesse creare una volta riempita del vino, che era sempre presente nei banchetti.

Phiale di AchyrisPhiale di Achyris

La Phiale di Achyris, conservata a Termini Imerese
(immagini tratte da www.archaeology.org/online/features/phiale).




Torna su