MURLOCULTURA n. 6/2010
Carrellata sui mestieri in mutazione

IL MURATORE

di Luciano Scali
ventunesima puntata


Associazione Culturale di Murlo
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Nel riprendere la consueta rubrica interrotta per lasciare spazio a considerazioni sulla evoluzione della chiesa di Pianta Sala, vorrei richiamare l’attenzione su alcune opere di muratura che per il solo fatto di trovarsi ben nascoste, non vengono prese nella considerazione che meritano. Mi riferisco alle “fondazioni” dei fabbricati, opere indispensabili sulle quali andrà a gravare il peso del futuro immobile e di quanto in esso contenuto.

Prima di procedere alla elaborazione di qualsiasi calcolo per dare la dimensione appropriata a questa particolare struttura di sostegno, occorrerà effettuare accurate verifiche sulla consistenza del terreno che dovrà accoglierla.

Ricordo ancora le parole di un vecchio docente dei miei tempi che esortava sempre a muoversi ad occhi aperti senza soffermarsi al lato esteriore delle cose. “Il tempo si deposita a strati”, diceva, “e la verità, quella vera, si trova sempre sotto ricoperta, appunto dalla sovrapposizione dei tempi.” Un modo pittoresco per sottolineare la costante opera disgregatrice delle acque che erodendo i terreni elevati, ne trasportava i detriti lungo il suo corso per andarli poi a depositare in luoghi depressi lontani modificando così l’aspetto originale del paesaggio. Ciò significa che i terreni solidi, capaci di sopportare gli ingenti carichi di una costruzione, si trovano quasi sempre ricoperti da strati di materiale trasportato dalle acque. Il terreno solido può essere raggiunto sia con lo sbancamento di quello di riporto, oppure praticando trincee nel riporto stesso. La verifica della consistenza del terreno su cui appoggiare la costruzione rientra nelle competenze del personale tecnico vicino alla progettazione anche se al vecchio capomastro non mancava la capacità di stabilire se fosse affidabile e fino a quale punto. Non sempre è possibile edificare sulla roccia come nel castello di Murlo o a Crevole ma trovandosi di fronte a banchi di tufo consistente o certi tipi di conglomerati di può avere la certezza di andare sul sicuro. Presa conoscenza delle caratteristiche del terreno disponibile sarà agevole dare la giusta dimensione alle fondazioni della fabbrica per impedire il verificarsi di possibili lesioni sulle strutture durante la loro fase di assestamento.
A questo punto mi piace riportare quanto l’insigne architetto Andrea Palladio diceva sulle fondamenta nel suo trattato di architettura edito a Venezia nel 1570:

Delle Fondamenta

Deono essere le fondamenta il doppio più grosse del muro, c’ha da esservi posto sopra, & in quello si dovrà haver riguardo alla qualità del terreno, & alla grandezza dell’edificio facendole ancho più larghe né terreni mossi, e men sodi, e dove avessero da sostentare grandissimo carico. Il piano della fossa deve essere uguale: acciocché ‘l peso prema ugualmente, e non venendo à calare in una parte più che nell’altra, i muri si aprano. Per questa cagione lastricavano gli Antichi il detto piano di Tevertino, e noi siamo soliti a ponervi delle tavole, overo delle travi, e sopra di quelle poi fabbricare. Si fanno le fondamenta à scarpa, e cioè che tanto più decrescano, quanto più s’inalzano; in modo però, che tanto da una parte sia lasciato, quanto dall’altra, onde il mezo di quel di sopra caschi a piombo al mezo di quel di sotto: il che si deve osservare ancho nelle diminuzioni de’ muri sopra terra: percioché in questo modo la fabbrica viene ad havere molto maggior fortezza, che facendosi le diminuzioni altramente. (1)

In poche parole il Palladio sintetizza l’essenza di cosa tenere conto per costruire un edificio e nel farlo elenca alcune regole pratiche dettate dall’esperienza:

-Anzitutto le fondamenta dovranno misurare il doppio del muro che vi andrà sopra;

-Si dovrà fare attenzione alla natura del terreno, alle dimensioni dell’edificio facendole anche più larghe nei terreni sciolti e meno consistenti e dove dovesse gravare un forte carico;

-L’appoggio delle fondazioni dovrà essere in piano in modo che il peso sia equamente distribuito, e non accada che il fabbricato tenda ad abbassarsi da una parte consentendo ai muri di lesionarsi;

-Per tale motivo gli antichi costruttori lastricavano il piano di fondazione con lastre di travertino mentre oggi siamo soliti porvi delle tavole o delle travi prima di edificarvi sopra;

-Le fondazioni vengono fatte “a scarpa” (ovvero a sezione trapezoidale con base maggiore in basso), vale a dire che si restringano man mano che aumentano in altezza, che ambo i lati siano simmetrici in modo che l’asse della fondazione passi per il mezzo delle due basi;;

-Lo stesso criterio deve essere usato anche per i muri fuori terra che vi gravano sopra, che siano cioè decrescenti verso l’alto: in altri termini che siano essi stessi concepiti a scarpa per conferire maggiore resistenza alla costruzione.

Si tratta, come possiamo vedere di regole giunte fino ai giorni nostri e ancora largamente in uso prima dell’avvento delle costruzioni di cemento armato. Ma torniamo al nostro caso.

Il più comune tipo di fondazione è quello “continuo” ovvero: quando le trincee scavate in corrispondenza dei futuri muri, vengono riempite completamente con pietrame di cava, aggiustato a regola d’arte e legato da malta di calce idraulica, rena e breccia in adeguate proporzioni. Questo semplice sistema è il più adottato purché la profondità della trincea non superi il metro e cinquanta ed il terreno di riporto sia abbastanza consistente da non richiedere l’ausilio di armatura per sostenerlo. Questo dato non è stabilito a caso bensì dalla necessità di poter effettuare lo scavo nella maniera più agevole possibile, vista la tecnica usata per eseguirlo. Si procede “a mano”, di solito con due operai che lavorano in coppia alternandosi. Mentre uno dei due scava (Fig. 1), l'altro attende che si formi un po' di terra per spalarla fuori lasciando così riprendere fiato al compagno (Fig. 2). Operando in tale sintonia si riesce a fare molto lavoro. La profondità di un metro e mezzo alla quale è stato fatto cenno garantisce un certo grado di sicurezza all'operatore in caso di un possibile smottamento e l'uso della pala con manico di lunghezza normale, senza essere costretti ad accorciarlo come occorre fare operando all'interno della trincea.

Lo scavo della trincea - disegno di Luciano Scali

Fig. 1 - Lo scavo della trincea

La spalatura della terra di risulta - disegno di Luciano Scali

Fig. 2 - La spalatura della terra di risulta

In presenza di maggiori profondità si ricorre allo scavo “a gradoni” per poter “trapalare”la terra di risulta. Con tale termine viene indicata la doppia operazione occorrente a spalare fuori la terra dallo scavo. L’operaio posto nel livello più basso spala la terra scavata sul gradone più alto laddove un secondo operaio provvede a gettarla definitivamente fuori. All’esterno un giovane manovale si incarica di avviarla verso lo scarico lontano evitando l’accumulo nei pressi della trincea (Fig. 3).

Lo scavo della trincea a gradoni - disegno di Luciano Scali

Fig. 3 - Lo scavo della trincea a gradoni

Per fronteggiare la nuova situazione divenuta di evidente pericolo di smottamento con l'approfondirsi dello scavo, è necessario ricorrere all'ausilio di armature all'interno della trincea per porla in sicurezza specie se la profondità supera l'altezza degli operai soggetti a rischio di restare sepolti. Tale precauzione ne limita però l'azione specie di coloro situati ai livelli più bassi e, in particolare modo per gli spalatori costretti, come accennato sopra, ad accorciare il manico della pala per muoversi e a impiegare maggiore energia per eseguire il proprio lavoro.
La tenuta delle pareti scavate dipende dalla compattezza del terreno che, a seconda della sua tipologia, avrà un particolare angolo di scorrimento indicato nel disegno di Fig. 4 con la lettera alfa.

Armatura dello scavo - disegno di Luciano Scali

Fig. 4 - Armatura dello scavo

L’ampiezza di tale angolo risulterà inversamente proporzionale alla consistenza del terreno suggerendo così una maggiore attenzione alla posa in opera delle armature occorrenti a mettere in sicurezza la trincea. Il puntellamento delle pareti viene eseguito secondo una regola pratica indicata dal grafico tenendo conto che la spinta del terrapieno si suppone da questi concentrata ad un terzo dalla sua base e quindi proprio in quel punto dovrà essere contrastata. Per ogni approfondimento di scavo occorrerà fare le stesso ragionamento procedendo a successivi puntellamenti in considerazione della nuova quota raggiunta.

(continua)


(1) - da I Quattro Libri dell’Architettura” di Andrea Palladio - In Venetia - Appresso Dominico de' Franceschi 1570.







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