MURLOCULTURA n. 6/2012

Luce a Murlo!

di Gabriele Maccianti


Associazione Culturale di Murlo
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Ospitiamo volentieri per la prima volta nel nostro periodico Gabriele Maccianti, studioso senese che sta completando in queste settimane il suo ultimo volume, dove ha ricostruito le turbolente vicende dell’immediato primo dopo guerra (1919-1922) a Siena e in provincia. Nel suo lungo lavoro di ricerca archivistica, si è imbattuto in molti documenti su Murlo. Su nostra richiesta Gabriele si è gentilmente prestato a raccontarceli...

L’articolo originale pubblicato da Il Popolo Senese, settimanale della Federazione fascista provinciale del Fascio"Alle 21, fra l’entusiasmo vivissimo della popolazione, l’intiero paese e le frazioni erano illuminate da centinaia e centinaia di lampadine elettriche, assicurate a festoni di verde, che davano un aspetto fantastico e grazioso”. Così - nel racconto del periodico fascista senese, Il Popolo Senese - il 23 giugno 1929 l’energia elettrica arrivò a Casciano di Murlo e negli altri principali centri abitati del Comune. Finalmente, si potrebbe aggiungere, perché l’antico possesso vescovile era uno degli ultimi della Provincia a vedere le tenebre rischiarate dalla luce elettrica. Poco dopo Giorgio Alberto Chiurco, al momento uomo forte del fascismo senese, parlò dalla sede della Società di Mutuo Soccorso e Dopolavoro, incitando i paesani "alla devozione e all'obbedienza al governo nazionale che, non colle parole, ma coi fatti, [risolve] problemi vitali, vincendo ogni difficoltà per la prosperità e la sicurezza dell'Italia nostra".

Le parole di Chiurco, al di là dei toni roboanti, rispondevano a un’esigenza sentita - per più motivi - dal Regime. In primo luogo, Mussolini, memore anche del suo passato di sindacalista socialista, intuì fin da subito i vantaggi in termini sia di prestigio che di consenso che la risoluzione dei più pressanti bisogni quotidiani avrebbe arrecato al governo. Impresse quindi un’accelerazione agli interventi nel settore delle opere pubbliche. In secondo luogo l’incapacità di esaudire i bisogni della popolazione aveva compromesso la credibilità della classe dirigente liberale. Il fascismo, succedutole in maniera traumatica, doveva mostrare il diritto di governare anche in virtù di una maggiore efficienza. Per un regime che intendeva “ruralizzare”, il Paese era di fondamentale importanza migliorare le condizioni di vita nelle campagne e consentire ai contadini di essere “partecipi di alcuni elementari benefici, acqua potabile, scuole, assistenza medica”. La volontà del governo si trasmise verso il basso. Nel febbraio 1929, nell’assumere la carica di Podestà di Trequanda, Benvenuti promise ai suoi amministrati che avrebbe portato “l’acqua e la luce” necessari a far “risorgere” il paese “a vita nuova”. Una terza motivazione, di prospettiva più ampia, spingeva il regime a intervenire in profondità nel settore delle opere pubbliche. Assicurare buone condizioni di vita alla popolazione costituiva il presupposto basilare per “migliorare la razza”, fascistizzare in profondità il Paese e avviare la definitiva trasformazione dell’Italia in una grande potenza.
Nella Provincia di Siena il miglioramento della rete di approvvigionamento idrico era al primo posto dei problemi. L’acqua proveniente dalla sorgente di Vivo d’Orcia raggiungeva ormai il centro storico del capoluogo, ma in gran parte del suburbio di Siena, abitato da oltre diecimila persone, molti capoluoghi di comune e moltissime frazioni né il rifornimento il rifornimento assicurato da piccoli acquedotti né le scorte di acqua piovana custodite nelle cisterne erano in grado di esaudire le richieste, specie nei mesi estivi, costringendo gli abitanti a sfruttare l’acqua dei pozzi, come a Radda, o delle fontanelle, non di rado a secco nei mesi estivi, come a San Gimignano. A Trequanda, nel secco autunno 1921 “il cisternone comunale è quasi vuoto, la vasca del lavatoio è pressoché esaurita [e] gli abitanti di Castelmuzio sono costretti a prendere l’acqua un po’ quà e un po’ là, con i barili”. Il disagio maggiore gravava però sui contadini che abitavano nelle innumerevoli case coloniche disperse nel mare di colline. Le cisterne di raccolta di acqua piovana “di cui più o meno sono fornite” le case esaurivano le riserve “dopo pochissimi giorni da che la pioggia è cessata” costringendo i contadini “a percorrere d’estate chilometri e chilometri per andare a prendere un po’ di pessima acqua”. In gran parte dell’Italia rurale la modernizzazione doveva ancora cominciare e tutto si svolgeva pressappoco come si era svolto nei secoli passati. Nel Comune di Murlo, servito almeno in parte dall’Acquedotto del Vivo, la priorità si chiamava però energia elettrica.
All’inizio degli anni Venti la rete distributiva di energia elettrica copriva già parte del territorio della provincia. L’elettrificazione della Toscana, iniziata nel 1905 dalla Società Ligure Toscana di Elettricità e dalla Società Mineraria del Valdarno, era proseguita negli ultimi anni del regime liberale. All’avvento al potere del regime fascista le vie e le piazze di oltre trenta capoluoghi di comune erano illuminati dall’energia elettrica, prodotta prevalentemente della centrale termica alimentata a lignite di Castelnuovo dei Sabbioni, nei pressi di Cavriglia, ma in gran parte delle frazioni e nelle campagne il calar delle tenebre coincideva con l’oscurità. Uno dei Comuni in cui mancava ancora l’elettricità era come abbiamo detto Murlo (gli altri erano Monteriggioni, Trequanda, San Giovanni d’Asso e Radicondoli) e la promessa fatta agli abitanti di risolvere la questione andava ancora onorata. Nel 1927 la Società Elettrica del Valdarno (Selt) presentò un esorbitante preventivo di circa quattrocentomila lire che il Podestà Mario Ettore Bayon, un ingegnere genovese che, dirigendo la costruzione della ferrovia per Monte Antico, aveva preso dimora a Murlo, giudicò impossibile da sostenere per le modeste risorse comunali. Il successore, il Commissario Prefettizio Cancelletti ebbe maggiore fortuna. La ditta Messeri di Firenze dichiarò la sua disponibilità a compiere l’opera in cambio di un più ragionevole compenso di 165.000 lire da pagare in quindici rate annuali e la realizzazione dell’intervento ebbe finalmente inizio.
Il Fascio sfruttò con la massima attenzione possibile anche l’intervento compiuto a Murlo, trasformando l’inaugurazione in una manifestazione di consenso. La mattina si tenne una solenne messa officiata dal pievano Don Olinto Fralassi; nel pomeriggio un concerto della Filarmonica di Monticiano; poi dopo i brevi interventi di Giorgio Alberto Chiurco e Antimo Pescatori, Segretario provinciale del Fascio, venne servito “un sontuoso rinfresco” e proiettato un film realizzato dall’Opera Nazionale Dopolavoro. Non casualmente si tenne a Casciano, “rocca inespugnabile di patriottismo” anche nel periodo liberale (la definizione è di Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. III, p. 553). Diversamente, nell'altro centro abitato, Vescovado, la numerosa componente operaia dei minatori propendeva verso il Psi. Le elezioni comunali dell'autunno 1920 avevano sancito una bipartizione dell'elettorato, con dieci consiglieri eletti tra le fila del Psi e dieci tra quelli dei "partiti dell'ordine". Un caso unico del senese che impedì l'elezione del Sindaco. La situazione era in stallo. Alle politiche del maggio 1921 il Psi ottenne a Vescovado 272 voti a confronto dei 154 dell'altro raggruppamento politico, mentre "Blocco nazionale", formato da liberali e fascisti, s'impose a Casciano con 251 suffragi contro 154. Marginale, invece, il radicamento del Partito popolare (progenitore della Dc), votato solo da 31 elettori nell'intero comune.
Non vi furono, durante i ventitré anni di durata del Regime, cerimonie altrettanto imponenti nel Comune. Una piccola ma preziosa pubblicazione edita nel 1940, Opere del Regime in Provincia di Siena, che elenca minuziosamente gli interventi compiuti Comune per Comune, il numero di quelli portati a termine nel Comune di Murlo è sostanzialmente modesto. Oltre all'impianto della rete di energia elettrica, il più costoso di tutti, figurano, degni di essere menzionati, la costruzione a Vescovado dell'edificio scolastico (160.000 lire) e della Chiesa dedicata ai caduti (40.000 lire). per quanto riguarda l'approvvigionamento idrico, il Comune di Murlo, attraversato dalla conduttura dell'Acquedotto del Vivo, non aveva grandissimi problemi e durante il Ventennio gli interventi furono limitati ad aumentare la portata di acqua verso Vescovado, Poggiolodoli e San Francesco. L'aumento esponenziale delle spese militari, avrebbero, col passare degli anni, diciamo dalla metà degli anni Trenta, gradatamente ridotto gli investimenti infrastrutturali sia a livello nazionale che locale.



Nell'immagine, l’articolo originale pubblicato da Il Popolo Senese, settimanale della Federazione fascista provinciale del Fascio.




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